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Uno dei principi fondamentali contenuti nella legge fallimentare è quello per cui l’imprenditore agricolo non può essere soggetto al fallimento: l’art. 1 del Regio Decreto n. 267/1942 stabilisce infatti che “sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano una attività commerciale, esclusi gli enti pubblici”.
Ciò vale però fino a quando il soggetto o la società continuano a svolgere le attività agricole previste dall’art. 2135 c.c.: in caso contrario, infatti, se l’agricoltore diventa commerciante, salta il beneficio della non fallibilità.
Lo ha deciso la Corte d’Appello di Trento (sezione distaccata di Bolzano) con l’interessante sentenza n. 25/2018.
Una società semplice agricola che svolgeva attività florovivaistica era stata messa in liquidazione nell’anno 2014, a seguito della cessazione dell’attività agricola prevalente, ma nello stesso anno aveva stipulato un contratto di affitto di azienda della durata di 25 anni (prorogabile di ulteriori 15), per la gestione di tutti i beni mobili ed immobili, scorte vive e morte, macchinari e attrezzature.
Accanto alla stipula del contratto di affitto, la società semplice agricola aveva avviato un’attività di intermediazione nella circolazione dei beni (art. 2195 c.c.): essa, infatti, importava dall’estero talee e le rivendeva proprio alla SRL affittuaria.
Secondo il Tribunale, la totale cessazione di qualsivoglia attività agricola e il contemporaneo svolgimento di un’attività prettamente commerciale erano elementi sufficienti a considerare decaduto il principio di non fallibilità dell’imprenditore agricolo. Pertanto, il grave stato di insolvenza della società era idoneo a dichiararne il fallimento.
Anche i giudici di secondo grado hanno confermato che la società semplice (ed i suoi tre soci illimitatamente responsabili) doveva essere dichiarata fallita.
Secondo i magistrati trentini, infatti, l’attività commerciale è ammessa se svolta in connessione con quella agricola principale, secondo i parametri di cui all’art. 2135 c.c.. Alternativamente, essa potrebbe essere ammessa se considerata strumentale o utile alla liquidazione della società semplice.
Nel caso in esame, però, il primo caso non poteva configurarsi, in quanto la società agricola aveva cessato da tempo l’attività principale di coltivazione del fondo pregiudicando ed inibendo il concretizzarsi di qualsivoglia attività agricola connessa.
Tantomeno la nuova attività poteva essere ritenuta funzionale all’attività di liquidazione, in quanto si trattava di una nuova attività potenzialmente idonea ad esporre la società ad un nuovo rischio di impresa e a peggiorare la situazione economica della stessa.
Pertanto, in questo caso la società non può invocare l’esenzione da fallibilità, altrimenti, come sostengono i giudici, “si verrebbe ad estendere, a dismisura e senza giustificazione normativa, il novero degli imprenditori agricoli non passibili di fallimento”.
Riteniamo che, con riferimento al caso analizzato, i magistrati della Corte d’Appello di Trento abbiano deciso correttamente, tenendo conto del fatto che l’ormai cessato svolgimento dell’attività agricola (e lo svolgimento di attività commerciale) da parte della società non poteva dare titolo all’invocazione dell’infallibilità prevista solo per chi svolge le attività di cui all’art. 2135 c.c..
È pur vero che esiste ampia giurisprudenza secondo cui non può essere dichiarato fallito l’imprenditore agricolo che concede in affitto l’azienda per lo svolgimento delle attività agricole (Trib. Rovigo 20 settembre 2016; Trib. di Udine 21 settembre 2012), ma questo principio non può trovare applicazione in tutti quei casi in cui si sia contestualmente intrapresa una nuova attività commerciale.
Questa ipotesi si può concretizzare, come nel caso in esame, quando viene iniziata ex novo una vera e propria attività di mera intermediazione di prodotti agricoli, ma anche nell’ipotesi in cui venga meno l’attività agricola principale lasciando in essere solo quella connessa che in tal caso, assumerebbe a tutti gli effetti natura di attività commerciale.
Infatti, come più volte ribadito dai nostri esperti, le attività agricole connesse non possono esistere se a monte non è presente un’attività agricola principale di cui all’art. 2135 c.c. riconducibile alla coltivazione del terreno, all’allevamento degli animali o alla silvicoltura.