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Quando i consumi di energia elettrica sono particolarmente bassi il Comune può disconoscere le agevolazioni per l’abitazione principale.
Per beneficiare di tali agevolazioni, l’abitazione deve rappresentare la dimora abituale del contribuente e dei suoi familiari, non essendo quindi sufficiente che la stessa risulti presso l’anagrafe del comune.
Partendo da tale presupposto, la Cassazione, nell’ordinanza 14793 del 07 giugno scorso, ha ritenuto legittimo disconoscere le agevolazioni ICI, per l’abitazione principale, in presenza di consumi elettrici troppo bassi.
La vicenda ha origine da un accertamento relativo al periodo 2008-2010, effettuato da un comune toscano, a seguito del quale veniva negata al contribuente l’agevolazione ai fini ICI per l’immobile adibito ad abitazione principale.
Il Comune sosteneva che, pur in presenza della residenza anagrafica del contribuente presso l’immobile oggetto della controversia, vi erano elementi tali da presumere che tale immobile, di fatto, non rappresentasse l’effettiva dimora dello stesso e dei suoi familiari.
A sostegno della presunzione posta in essere dall’amministrazione comunale, erano state effettuate delle verifiche da cui era emerso che il contribuente aveva scelto un medico curante presso un diverso comune, inoltre, erano stati rilevati bassi consumi di energia elettrica nel corso del triennio.
I giudici di legittimità hanno ritenuto adeguatamente motivato l’accertamento di fatto effettuato, considerando i bassi consumi energetici un elemento sufficientemente valido per ritenere superata la presunzione di residenza.
Ai fini ICI, la definizione di abitazione principale è indicata all’art. 8, comma 2 del D.Lgs. 504/92, il quale prevede che l’abitazione debba rappresentare la dimora abituale del soggetto che lo possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, intendendosi per tale, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica.
La corte, infatti, ha ribadito che ai fini del riconoscimento dell’agevolazione prevista dall’art. 8 del D.Lgs. 504/92, per gli immobili destinati ad abitazione principale, “le risultanze anagrafiche rivestono un valore presuntivo circa il luogo di residenza effettiva e possono essere superate da prova contraria, desumibile da qualsiasi fonte di convincimento suscettibile di apprezzamento riservato alla valutazione del giudice di merito”. (Cass. n.12299/17, n.13062/17) .
Il concetto espresso ai fini ICI può essere traslato anche all’IMU, nonostante i requisiti dell’abitazione principale previsti per l'applicazione di tale imposta siano più stringenti. Infatti, il comma 2, art. 13 del DL 201/2011 stabilisce che “per abitazione principale si intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente.”.
Pertanto, ai fini IMU, l’abitazione principale deve rispondere, contemporaneamente, sia al requisito di dimora abituale che a quello di residenza anagrafica.
Alla luce di tali disposizioni, se perverranno contestazioni da parte dell'ufficio circa l'abitualità della dimora nell'immobile, sarà onere del contribuente dimostrare l'infondatezza delle eccezioni sollevate dall'ufficio.
Qualora però, come nel caso in esame, vi fossero più elementi che facciano ritenere che l’immobile non rappresenti la dimora abituale del contribuente (bassi consumi energetici, assenza del medico di famiglia), in mancanza di evidenze a suo favore, tali presunzioni possono portare alla perdita della qualificazione di “abitazione principale” con la conseguente decadenza dalle agevolazioni.