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La prassi della vendita in piedi ha origini antiche e, negli anni, la sua applicazione si è evoluta in funzione delle necessità delle imprese agricole, rimanendo tutt’oggi un contratto utilizzato di frequente.
Le fonti normative dalle quali originano le fondamenta di questo contratto sono rappresentate dalla Legge 203/1982 che disciplina i contratti agrari e dall’art. 1472 del codice civile dedicato alla vendita di cose future.
Merita un cenno l’origine della vendita delle erbe in piedi al fine di comprendere il motivo per il quale tale forma contrattuale sia espressamente citata dalla norma che regola gli affitti agrari (L. 203/1982).
In origine, infatti, tale contratto era generalmente riconducibile alla pratica del “pascipascolo”, che rappresentava una forma di attività che portava giovamento ad entrambe le parti contrattuali. Il proprietario del terreno beneficiava del mantenimento del pascolo attraverso la concimazione naturale degli animali e di un equo compenso, mentre l’allevatore disponeva dei pascoli necessari ad alimentare gli animali allevati. Un’altra pratica abbastanza diffusa era la vendita del bosco in piedi: si trattava di una pratica volta ad agevolare il proprietario del bosco, il quale lasciava in carico alla controparte tutte le operazioni boschive concedendo, allo stesso tempo, condizioni economiche più vantaggiose all’acquirente.
La vendita in piedi, quale contratto di cessione e non di godimento, non prevede l’obbligo di registrazione e si concretizza nella vendita di tutto il prodotto stagionale, a corpo o a misura, con operazioni a carico dell’acquirente.
Come anticipato, l’art. 56 della legge 203/1982 cita la vendita delle erbe quale attività di coltivazione stagionale che esclude l’applicazione del contratto di affitto a coltivatore diretto, a condizione che la durata del contratto sia inferiore all’anno, che il terreno oggetto del contratto non sia destinato a pascolo permanente e che il compratore non eserciti sul fondo alcuna attività imprenditoriale (esclusa la raccolta o il pascolo).
La vendita di frutta su pianta è un contratto con il quale un imprenditore agricolo vende, ad un commerciante o ad altro imprenditore agricolo, tutti i frutti di una determinata piantagione, che al momento dell’accordo sono ancora pendenti.
La vendita su pianta è un contratto ampiamente diffuso in varie regioni e gli usi locali ne hanno definito diversi elementi caratterizzanti, dovuti appunto alle diverse origini.
La vendita del “bosco in piedi”, come le altre vendite in piedi, è regolamentata in molte province dagli usi. La vendita può avvenire anche in questo caso a corpo (o forfait) facendo riferimento ad una partita rappresentata da un numero ed una specie di piante. In altri casi la vendita “a misura” può essere effettuata a peso o a metro stero.
La vendita in piedi consiste nella cessione di una cosa futura in quanto, anche se al momento della sottoscrizione del contratto “i frutti” oggetto della compravendita sono visibili e tangibili, in base a quanto previsto dal codice civile, essi sono un tutt’uno con la cosa (la pianta, il terreno) fino a quando non sono raccolti.
L’articolo 1472 del c.c. recita infatti: “nella vendita che ha per oggetto una cosa futura, l'acquisto della proprietà si verifica non appena la cosa viene ad esistenza. Se oggetto della vendita sono gli alberi o i frutti di un fondo, la proprietà si acquista quando gli alberi sono tagliati o i frutti sono separati.
Qualora le parti non abbiano voluto concludere un contratto aleatorio, la vendita è nulla, se la cosa non viene ad esistenza”.
Il secondo comma dell’art. 1472 pone l’accento sulla volontà delle parti di definire o meno nel contratto una condizione aleatoria. Se nel contratto il compratore si assume il rischio che il prodotto venga ad esistenza o venga ad esistenza in quantità notevolmente inferiore a quella prevedibile, per qualsiasi causa, il contratto sarà pienamente valido e il compratore dovrà corrispondere l’intera somma pattuita (vendita a corpo). In tal caso andrà espressamente specificata questa volontà nel contratto.
Diversamente, se nel contratto è indicato che la vendita è a misura o non fosse indicato nulla, il contratto produrrà i suoi effetti esclusivamente alla raccolta dei frutti. Pertanto, nel caso di vendita a misura il compratore corrisponderà solo il valore concordato in funzione della quantità/qualità del raccolto. Mentre, in caso di perdita del raccolto, il contratto sarà nullo.
Nella vendita in piedi, la disponibilità del fondo assume carattere accessorio, pertanto, è:
L’acquirente, durante le operazioni di raccolta, interviene con i propri mezzi ed il proprio personale; pertanto la responsabilità sui rischi e la sicurezza sul lavoro sono a suo carico. Il venditore dovrà limitarsi a non interagire con le attività di raccolta ed a segnalare eventuali elementi di pericolo.
In base al DPR 633/1972, le fatture devono indicare natura, qualità e quantità dei beni o servizi oggetto dell’operazione (art. 21).
Nel caso della vendita in piedi, generalmente le vendite avvengono a corpo (forfait), pertanto nella fattura non si riporterà la quantità ma il riferimento al contratto di vendita.
Nella vendita diretta l’acquisto, ovvero il momento traslativo della proprietà, avviene nel momento in cui il frutto viene ad esistere, pertanto, al momento del raccolto. Tale momento, dovrà essere quindi definito caso per caso, in quanto le modalità di raccolto possono essere molto diverse e prevedere anche più fasi di raccolta legate alla maturazione/crescita dei “frutti”; nel caso di pascipascolo, invece, è impossibile determinare il momento della raccolta.
Per tale ragione nella prassi comune spesso la vendita viene regolata con fatture di acconto e saldo. Il pagamento dell’acconto, nel caso in cui il prodotto non venga ad esistenza o il raccolto sia inferiore alla quantità prevista, determina il ritorno all’acquirente dei corrispettivi pagati in eccedenza (salvo il caso che si sia contrattualmente accollato tale rischio).
A differenza del contratto di compartecipazione agraria, con il contratto di vendita in piedi il prodotto acquistato da un’azienda agricola non può essere considerato “a titolo originario”.
Tuttavia, il prodotto, se destinato ad una successiva trasformazione/manipolazione, può comunque rientrare nella tassazione su base catastale, purché sia rispettato il requisito della prevalenza.
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