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L’impegno di superare la legge Fornero è uno degli obiettivi principali del Governo per il prossimo anno. Tale obiettivo è stato confermato anche nella lettera che il Ministro dell’Economia e delle Finanze Tria ha trasmesso lo scorso 13 novembre alla Commissione europea.
In concreto, l’ipotesi che il Governo sta portando avanti è un sistema previdenziale che consenta l’accesso alla pensione dopo il compimento del 62° anno di età, a condizione che l’età anagrafica sommata agli anni di contributi versati offra un risultato almeno pari a 100.
Come anticipato, fino all’età di 62 anni non sarà possibile andare in pensione (salvo per speciali categorie di lavoratori). La finestra per l’uscita dal mondo del lavoro prevede inoltre che la somma tra età anagrafica e gli anni di contributi versati sia almeno pari a 100. Cosi, ad esempio, potranno aversi i seguenti casi:
Per coloro che hanno versato i contributi in gestioni diverse sarà previsto il cumulo gratuito della posizione contributiva.
Appare evidente che l’innalzamento dell’età pensionabile introdotto dalla legge Fornero, in alcuni casi, potrebbe ridursi notevolmente.
Secondo una stima dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, se la misura fosse applicata, nel 2019 potrebbe interessare circa 437.000 contribuenti attivi.
Attualmente si sta pensando all’introduzione di finestre di ingresso trimestrali ed al divieto di cumulo del reddito di pensione con quello di lavoro dipendente per un periodo di 36 mesi. Dovrebbero quindi essere salvi i lavoratori autonomi ed i professionisti.
Al fine di contenere la spesa pubblica, l’uscita anticipata dal lavoro, rispetto alle tempistiche attualmente fissate con l’introduzione del criterio di quota 100, comporterà una riduzione delle pensioni lorde corrisposte rispetto al regime attuale. La riduzione prevista va da un 5%, nel caso in cui l’anticipo sia di una sola annualità, a oltre il 30% qualora l’anticipo fosse di oltre 4 anni.
Il Governo ha previsto di stanziare in un apposito fondo 6,7 miliardi di euro per il 2019 e 7 miliardi di euro per ogni annualità successiva.
Il pacchetto previdenza comprende anche un prelievo sulle cosiddette “pensioni d’oro”, ovvero quelle pensioni di importo mensile superiore a 4.500 euro netti, attraverso l’introduzione di un contributo di solidarietà per 5 anni.
Tra le misure al vaglio vi è anche la possibilità, per talune categorie di lavoratori, di riscattare in tutto o in parte periodi non coperti da contributi con onere completamente a loro carico.
La riforma che si intende approvare prevede il mantenimento per almeno un anno di due misure introdotte dal precedente esecutivo: l’Ape social e l’opzione donna.
L’“Ape Social” permette di godere dell’anticipo pensionistico a totale carico dello Stato e consentirà, ancora per almeno un anno, una via d’uscita preferenziale per i lavoratori in difficoltà come cassaintegrati o disoccupati e per i lavoratori che svolgono lavori gravosi.
Opzione donna rappresenta un beneficio che consente alle lavoratrici di pubblico e privato di andare in pensione in anticipo a patto di accettare un assegno calcolato interamente su sistema contributivo.
Uno dei principali timori, segnalato anche dal Presidente dell’INPS, è dato dalla sostenibilità di questa riforma, non solo perché anticipa l’età pensionabile, ma anche per il fatto che non sarà automatico che il lavoratore che andrà in pensione sia sostituito da un altro soggetto. Inoltre, vi è il rischio che i contributi previdenziali versati dai neoassunti non siano sufficienti a sostenere l’aggravio della spesa previdenziale nei limiti stimati dall’Esecutivo.
Il lavoro precario e spesso intermittente presta dalle attuali generazioni impone una riflessione anche sull’adeguatezza delle pensioni che saranno erogate in futuro. Dovranno pertanto essere ulteriormente incentivi per coloro che intendono costruirsi una previdenza integrativa.