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Con un’interessante decisione, la Corte Costituzionale si è recentemente espressa in merito alla legittimità di talune modalità di accertamento relative al corretto versamento (all’INPS) dei contributi da parte dei lavoratori del settore agricolo.
La questione rimessa alla Suprema Corte riguardava un accertamento emesso da parte dell’INPS, il quale contestava ad un imprenditore agricolo un fabbisogno di manodopera maggiore rispetto a quello dichiarato nelle denunce aziendali e trimestrali e che tale attività, pertanto, non risultava allineata alle previsioni che regolano la materia.
Avverso la richiesta contributiva avanzata dall’ente previdenziale, il giudice competente rispondeva che tale richiesta non aveva fondamento “nella parte in cui impone all’INPS di richiedere alle imprese agricole contributi previdenziali non collegati a soggetti nominativamente individuati bensì sulla base di un fabbisogno presuntivo determinato in forza di una stima tecnica”.
Di opinione simile erano, ovviamente, i difensori della parte, mentre i soggetti sotto processo peroravano la causa dell’illegittimità costituzionale, sostenendo che il conteggio dei lavoratori era stato effettuato grossolanamente, “in base a un calcolo astratto della manodopera che sarebbe stata impiegata in ambito aziendale, senza preventivamente procedere all’individuazione dei lavoratori beneficiari della maggiore contribuzione”.
Chiamata a pronunciarsi sulla legittimità della questione, con la sentenza n. 121/2019, la Corte Costituzionale ha iniziato col ribadire che la disciplina dei controlli e dell’accertamento dei tributi è prevista dall’art. 8 del D. Lgs. 375/1993 e seguenti.
In particolare, l’art. 8 comma 2 stabilisce che il raffronto, tra i dati aziendali direttamente accertati e gli elementi relativi alla manodopera (secondo il collocamento), può essere effettuato anche tramite una stima tecnica, ossia tramite la valutazione di una serie di fattori tra cui l’ordinamento colturale dei terreni, il bestiame allevato, i sistemi di lavorazione utilizzati e così via.
Se dalle risultanze di tale stima emerge che la quantità di lavoro richiesta non sia coerente e si discosti significativamente dalla forza lavoro a disposizione dichiarata con la denuncia aziendale e con le DMAG trimestrali, allora l’INPS intima al proprietario di fornire specifica giustificazione dell’illecito entro 40 giorni. Se tale giustificazione non arriva o non è convincente, allora l’Istituto provvede al ricalcolo dei relativi contributi non versati e alla loro liquidazione (art. 8, c.3, D.Lgs. 375/1993).
Entrando nel merito della controversia, poi, i magistrati si sono confrontati con la questione di legittimità avanzata, ossia la disparità di trattamento ai fini contributivi tra datori “ordinari” e datori agricoli, la quale violerebbe il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione.
Secondo i giudici, tale interpretazione deve ritenersi scorretta in quanto la differenza di trattamento per le aziende agricole è giustificato dalle diverse condizioni produttive di un settore fortemente legato alla stagionalità e ai fenomeni climatici.
Pertanto, la determinazione del fabbisogno di manodopera in relazione agli elementi distintivi di ciascuna azienda agricola, secondo una valutazione tecnica effettuata applicando i criteri di cui sopra, non rappresenta un’attività che viola i principi di uguaglianza immanenti al sistema.
Concludendo, evidenziamo come questa sentenza sia suscettibile di aprire un importante filone di contenzioso: se la presenza di un numero "significativamente" inferiore di giornate lavorate rispetto a quelle necessarie (conteggiati tramite una mera stima) è elemento idoneo per muovere contestazioni, allora potrebbero essere numerose le aziende che dovrebbero attivarsi per tempo onde evitare problemi.