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Il lavoratore dipendente che lavora meno di sei ore al giorno non ha diritto alla pausa pranzo e al servizio di mensa aziendale, nemmeno se l’orario ridotto è dovuto all’utilizzo dei permessi per l’allattamento.
Ciò è stato precisato dal Ministero del Lavoro con l’interpello n. 2/2019.
La disciplina relativa alle pause dal lavoro e, in particolare, sulla pausa pranzo, è contenuta all’interno dell’art. 8 del D. Lgs. 66/2003, il quale prevede che “qualora l'orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di sei ore il lavoratore deve beneficiare di un intervallo per pausa, le cui modalità e la cui durata sono stabilite dai contratti collettivi di lavoro, ai fini del recupero delle energie psico-fisiche e della eventuale consumazione del pasto anche al fine di attenuare il lavoro monotono e ripetitivo”.
Laddove, invece, la contrattazione collettiva non abbia espressamente previsto alcunché, la legge stabilisce che debba essere attribuito al lavoratore, tra l’inizio e la fine dell’attività lavorativa, un intervallo di almeno dieci minuti, che tenga presente delle esigenze organizzative e tecniche del processo produttivo.
Un ente chiedeva al Ministero del Lavoro chiarimenti circa la necessità di concedere la pausa pranzo e i relativi buoni pasto per la fruizione del servizio mensa nei confronti di alcune lavoratrici che usufruivano di riposi giornalieri per allattamento previsti dall’art. 39 del D. Lgs. 151/2001.
Tale norma attribuisce alle lavoratrici madri, per il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo giornalieri della durata di un’ora, anche cumulabili durante la giornata. Nel caso di durata lavorativa inferiore alle sei ore, il periodo di riposo concesso è uno solo.
Nel caso in esame, l’orario di lavoro delle lavoratrici, usufruendo dei permessi loro attribuiti, scendeva a cinque ore e dodici minuti giornalieri, pur essendo nominalmente superiore alle sei ore. Pertanto, l’ente chiedeva quale fosse la condotta da tenere in merito alla pausa pranzo e al servizio di refezione.
Chiamato a pronunciarsi sul tema, il Ministero del Lavoro, con l’interpello n. 2/2019 ha risposto alla richiesta pervenuta, precisando che nel caso in evidenza le lavoratrici non hanno diritto a godere della pausa pranzo e dei relativi buoni pasto.
Il Ministero arriva a tali conclusioni sulla base dell’analisi combinata delle due discipline, tramite l’approfondimento di due aspetti decisivi.
Il primo riguarda l’utilizzo del termine intervallo da parte del legislatore del 2003, il quale lascia presupporre che la pausa pranzo preveda una ripresa del lavoro a seguito della fruizione della pausa e del consumo del pasto. Ripresa lavorativa che, nel caso in esame, non era prevista.
In seconda battuta, il Ministero ha evidenziato come le due discipline sottendano a scopi diversi: se, infatti, la disciplina della pausa pranzo è finalizzata al recupero delle energie del lavoratore e alla consumazione del pasto, quella sui permessi per l’allattamento ha come scopo una migliore conciliazione tra la vita professionale e quella familiare.
Sulla base di tutti questi chiarimenti, l’effettiva presenza nella sede di lavoro delle lavoratrici per cinque ore e dodici minuti non dà diritto alla pausa pranzo ai sensi del richiamato art. 8 del D. Lgs. 66/2003. Pertanto, non sarà necessario decurtare i trenta minuti della pausa pranzo dal totale delle ore effettivamente lavorate.