Articoli
Tutti gli aggiornamenti, gli approfondimenti e i casi pratici analizzati e realizzati dai nostri esperti in materia agricola, fiscale, economica e del lavoro.
La Cassazione Civile, Sezione Lavoro, con l’Ordinanza 27 gennaio 2021, n. 1754, ha stabilito che il divieto di intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro opera tutte le volte in cui vi è l’affidamento ad un appaltatore esterno di tutte le attività, ancorché strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente, più specificatamente:
Il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro è molto spesso accompagnato da fenomeni di "sfruttamento" dell’attività lavorativa; non a caso la norma è stata fortemente sollecitata dalle organizzazioni sindacali del settore dell’edilizia e dell’agricoltura, in cui più radicato è il fenomeno del cosiddetto “caporalato”.
Si assiste infatti al proliferarsi di tante forme di partecipazione alla gestione del rapporto di lavoro, che assumono per lo più la forma della cooperativa, ma che di fatto sono vere e proprie somministrazioni illecite di manodopera alle quali si aggiungono corrispettivi/retribuzioni di gran lunga inferiori a qualsiasi previsione contrattuale.
Queste forme illecite di attività di somministrazione operano in regime di appalto, istituto stipulato e regolamentato ai sensi dell’articolo 1655 del Codice Civile.
L’appalto è il contratto con il quale una parte si assume, con l’organizzazione dei mezzi necessari e con la gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro.
Per completezza di informazione, il contratto di appalto si distingue dalla mera somministrazione di lavoro, svolta dalle agenzie per il lavoro regolarmente iscritte negli appositi Albi ministeriali.
Il contratto di somministrazione di lavoro è un particolare rapporto di lavoro che si caratterizza per il coinvolgimento di tre soggetti:
Il lavoratore, assunto e retribuito dall’agenzia di somministrazione, viene inviato a svolgere la propria attività (cosiddetta missione) presso l'utilizzatore.
Si sottolinea, pertanto, come l’appalto possa considerarsi genuino soltanto in quelle ipotesi in cui l’appaltatore non funge da semplice intermediario di forza lavoro, ma vi sia «una soglia minima di imprenditorialità» che comporta l’utilizzo in piena autonomia di un preciso e identificabile patrimonio di conoscenze, esperienze e professionalità del quale il committente sia privo.
In presenza di un appalto non genuino il committente rimane responsabile in solido per quanto attiene gli adempimenti in materi di lavoro.
In assenza degli elementi sostanziali e formali dell’appalto, si configura un’ipotesi di somministrazione abusiva a carico dello pseudo appaltatore ed una conseguente utilizzazione illecita a carico dello pseudo committente.
Concludendo, il decentramento produttivo è un’attività assolutamente lecita ed è ampiamente utilizzata dalle imprese.
Esso, tuttavia, può nascondere delle pratiche illecite laddove sia finalizzato unicamente ad aggirare i vincoli giuridici ed economici, che comporta l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato.
L’affidamento a soggetti terzi di determinate fasi produttive può nascondere rapporti puramente fittizi, in quanto i lavoratori formalmente dipendenti dal soggetto terzo in realtà sono sottoposti al potere direttivo dell’azienda committente.
Le contestazioni che spesso vengono mosse dagli organi ispettivi (Ispettorato Nazionale del Lavoro) a tale modalità di fornitura di lavoro, impone alle imprese di prestare molta attenzione nell’impiego dell’istituto dell’appalto, in quanto si può facilmente cadere nella “somministrazione illecita” di manodopera, oltre a correre il rischio di essere accusati di sfruttamento dei lavoratori, con conseguenti risvolti di carattere penale.
Andrea Fiumi, consulente del lavoro