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La Riforma del Diritto di Famiglia del 1975 ha comportato un notevole cambiamento nella valutazione giuridica della collaborazione dei familiari nell’impresa.
Se, per le unioni civili, la collaborazione familiare è abbastanza agevole, non può dirsi lo stesso per le convivenze di fatto.
L’intervento normativo è avvenuto a seguito di una presa di coscienza delle nuove realtà sociali e della conseguente avveduta esigenza di identificare specifici diritti ai nuclei affettivi cui le realtà sociali si riferiscono.
Alla luce di ciò, si rammenta che la Legge 76/2016, all’art. 1, comma 20, ha precisato quanto segue “Al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché' negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso.”
In altre parole, ogni disposizione di legge (presente e futura) contenente le parole “coniuge” o “coniugi” o termini equivalenti deve essere applicata anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso.
Da ciò ne deriva che l’art. 230-bis del Codice Civile, istitutivo della impresa familiare, potesse ricomprendere le unioni civili.
Invece, per quanto attiene le convivenze di fatto, le stesse non trovano ancora collocazione all’interno del concetto di “collaborazione familiare”. Infatti, l’Ispettorato del Lavoro, con il Parere 879/2023, allineandosi a quanto ribadito nella Circolare dell’INPS 66/2017, ha escluso il convivente more uxorio dall’alveo dei collaboratori familiari.
Stando a quanto riportato nel parere, il convivente di fatto, non avendo lo status di parente o affine entro il terzo grado rispetto al titolare d'impresa, non è contemplato dalle leggi istitutive delle gestioni autonome quale prestatore di lavoro soggetto ad obbligo assicurativo in qualità di collaboratore familiare.
Tale conclusione trova il proprio fondamento:
In merito all’ultimo punto, si segnalano due Sentenze, Cass. n. 22405/2004 e Cass. n. 4204/1994, che escludono l'equiparazione di status tra il coniuge (e, per assimilazione normativa, le parti unite civilmente) e il convivente more uxorio.
Nonostante siano state ribaditi gli orientamenti sino ad ora conosciuti, l’Ispettorato del Lavoro ha lasciato comunque aperta la strada per una possibile nuova linea interpretativa di natura giurisprudenziale, visto che la Cassazione, con l’Ordinanza interlocutoria n. 2121/2023, ha rimesso alle Sezioni Unite la possibilità di interpretare l’art. 230-bis comma 3 c.c., sull’impresa familiare, nel senso di prevedere l’applicabilità della relativa disciplina anche al convivente more uxorio, laddove la convivenza di fatto sia caratterizzata da un grado accertato di stabilità.