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I vincoli che la legge stabilisce in materia di orario di lavoro e, in particolare, di riposo settimanale, possono essere derogati solo dalla contrattazione collettiva nei casi e nelle modalità previste dalla legge. Gli usi aziendali, quindi, non sono strumenti idonei a comprimere tale diritto dei lavoratori.
Ciò è stato affermato con la sentenza n. 15995/2016 della Corte di Cassazione, con la quale i giudici hanno fornito un quadro riepilogativo della normativa in materia di riposo settimanale.
L’art. 9 comma 1 del D. Lgs. 66/2003 prevede che il lavoratore ha diritto a fruire di un periodo di riposo di almeno 24 ore consecutive ogni 7 giorni di lavoro. Il suddetto periodo di riposo consecutivo è calcolato come media in un periodo non superiore a quattordici giorni.
Di regola, il giorno di riposo coincide con la domenica, ma tale giornata può essere derogata dalla contrattazione collettiva nel rispetto di determinate condizioni.
Il comma 3 del citato art. 9 prevede inoltre che il riposo può essere fissato in un giorno diverso dalla domenica in diversi casi; in particolare la lettera d) prevede che può essere cambiato per “i servizi ed attività il cui funzionamento domenicale corrisponda ed esigenze tecniche ovvero soddisfi interessi rilevanti della collettività ovvero sia di pubblica utilità”.
Muovendo da tale previsione e da quella contenuta nel comma 4, che fa salve ulteriori deroghe previste da disposizioni speciali (come il DM 22 giugno 1935), la difesa della cooperativa esercente attività di produzione e commercializzazione di prodotti lattiero-caseari sosteneva che il riferimento alle attività di “pastorizzazione del latte” permetteva la modifica della cadenza dei riposi.
Un ulteriore argomento utilizzato dalla difesa riguardava la determinazione dei riposi che era svolta dai lavoratori stessi tramite una sostanziale attività di autogestione circa la definizione dei turni di lavoro secondo gli usi aziendali.
La Corte, però, ha rigettato tali argomentazioni. In prima battuta, i giudici hanno riaffermato che la regola generale prevede che ogni 6 giorni di lavoro si ha diritto al riposo settimanale e che tale diritto può essere derogato solo dalla contrattazione collettiva nei casi previsti dall’art. 9 comma 2 del D. Lgs. 66/2003.
I casi citati dalla difesa, invece, riguardano solo la possibilità di modificare il giorno del riposo, fissandolo in un giorno diverso dalla domenica come di regola.
A nulla vale, invece, il fatto che tale violazione sia intervenuta nell’ambito di un uso aziendale: come tale, infatti, va definita quella prassi generalizzata che introduce un trattamento più favorevole ai lavoratori rispetto a quello stabilito dalla legge o dai contratti collettivi. Al contrario, un uso non può comportare una diminuzione dei diritti dei lavoratori.
Pertanto, senza un’apposita contrattazione collettiva, non è possibile modificare in peggio le regole relative al riposo settimanale. Tale potere, infatti, è concesso dal legislatore solo alle organizzazioni sindacali in forza della loro idoneità a tutelare gli interessi della totalità dei lavoratori.
Idoneità, quindi, che è esclusa rispetto al singolo lavoratore il quale, in forza della posizione di debolezza contrattuale in cui si trova, non può autonomamente comprimere i propri diritti.