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La Corte Costituzionale, con la sentenza 213/2016 depositata il 23 settembre, ha stabilito che, nel silenzio della norma, i permessi attribuiti dalla L. 104/1992 devono essere riconosciuti anche ai conviventi dei malati affetti da gravi handicap.
La cosiddetta “104” è la legge che individua i parametri per la definizione e l’accertamento delle disabilità; inoltre, tale norma prevede anche una rosa di diritti che viene attribuita tanto ai portatori di handicap, quanto ai loro familiari.
In particolare, l’art. 33 stabilisce le agevolazioni previste per i familiari dei soggetti disabili. Il comma 3, specificamente, afferma che, purché tali soggetti non siano ricoverati a tempo pieno, tutti i lavoratori dipendenti (compresi quelli agricoli) che assistono persone con handicap gravi, hanno diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito.
Altro elemento necessario è che questi abbiano un rapporto di coniugio, parentela o affinità entro il secondo grado, ovvero il terzo se i genitori del disabile abbiano già compiuto sessantacinque anni. Entrambi i genitori, però, possono usufruire dei permessi per l’assistenza al figlio con disabilità.
Il caso oggetto della pronuncia della Corte Costituzionale riguardava due conviventi: lei aveva richiesto i permessi della “104” per assistere il proprio compagno affetto da morbo di Parkinson, ma tali permessi gli erano stati negati in quanto il rapporto di mera convivenza non rappresentava titolo idoneo per esercitare il diritto in oggetto.
La Corte si è pronunciata sul punto accogliendo le richieste della signora facendo leva su diverse argomentazioni.
In primis, si è ritenuto che l’interesse giuridico primario della L. 104/1992, così come il congedo straordinario previsto dalla L. 151/2001, consiste nell’”assicurare in via prioritaria le continuità nelle cure e nell’assistenza del disabile che si realizzino in ambito familiare”.
In seconda battuta, il diritto alla salute, tutelato dall’art. 32 della Costituzione, rientra tra i diritti inviolabili garantiti dall’art. 2 della carta costituzionale, sia in quanto il soggetto come singolo che nelle formazioni sociali in cui svolge la propria personalità.
Pertanto, afferma la Corte Costituzionale, “è irragionevole che nell’elencazione dei soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito non sia incluso il convivente della persona con handicap in situazione di gravità”.
Sulla base di tali argomentazioni, quindi, i giudici hanno affermato che la previsione normativa, nel testo vigente, presenta un’illegittima compressione dei diritti del malato, in quanto questo vede limitato il proprio diritto all’assistenza non sulla base dell’assenza di “soggetti portatori di un qualificato rapporto affettivo, ma in funzione di un dato normativo rappresentato dal mero rapporto di parentela o di coniugio”.
In questa sentenza, quindi, la Corte prosegue consolidando la propria giurisprudenza, la quale tende sempre più a parificare conviventi e coniugi in presenza di situazioni analoghe. Grazie a questa pronuncia, quindi, viene finalmente, e correttamente, esteso il diritto del convivente a prestare assistenza al proprio compagno.