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Il datore di lavoro non è penalmente responsabile in automatico per l’infortunio di un suo lavoratore: ai fini dell’imputazione, infatti, è necessario dimostrare la colpevolezza del titolare.
Lo ha deciso la Cassazione penale con la sent. n. 18779/2017.
Il caso riguardava un incidente sul lavoro dove, a seguito dell’utilizzo incauto di un macchinario, un dipendente aveva subito l’amputazione di gran parte di un dito della mano destra. Per tale infortunio, titolare e caporeparto venivano indagati e processati per lesioni gravi, dovute a causa della mancata messa a norma di un macchinario piuttosto datato.
Tra le responsabilità del datore, infatti, c’è anche quella di mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature idonee ai fini della sicurezza e della salute ai fini dell’attività lavorativa svolta, ai sensi di quanto previsto dall’art. 71, comma 1 del D. Lgs. 81/2008. Inoltre, la stessa disciplina prevede l’obbligo di predisporre tutti i dispositivi di sicurezza necessari al fine di salvaguardare la salute di chi utilizza i macchinari, proteggendolo anche da errori dovuti a imprudenza, negligenza e imperizia.
In giurisprudenza, infatti, è ormai pacifico che solo il comportamento abnorme del lavoratore, esulante dalle attività lavorative e dalle modalità operative assegnate, possa escludere la responsabilità del datore.
Nel caso in esame, la lavoratrice stava svolgendo la propria attività, quindi tale esclusione non poteva operare. Infatti, il Tribunale condannava sia datore che caporeparto al pagamento della multa e dei necessari risarcimenti del danno.
Tale pronuncia veniva parzialmente riformata in Appello, dove i giudici escludevano la responsabilità del caporeparto, in quanto a seguito di successive indagini, era emerso che i sistemi di sicurezza non erano perfettamente funzionanti, ma la lavoratrice non lo aveva mai segnalato al suo superiore, il quale non poteva quindi essere a conoscenza della situazione di rischio.
I giudici di secondo grado, però, non escludevano la responsabilità del datore, il quale, secondo la Corte d’Appello, aveva comunque una posizione di garanzia relativa al rischio della lavorazione.
In senso opposto si pronunciava la Cassazione, la quale rigettava tale impostazione affermando che il fatto poteva essere imputato al titolare solo nel caso in cui fosse a questi contestabile una condotta colposa, in ordine a comportamenti soggettivamente rimproverabili.
Tali sarebbero stati, ad esempio, l’inerzia di fronte alla notoria assenza o al mancato funzionamento dei dispositivi di sicurezza, ovvero direttive volte al non utilizzo degli stessi.
Nel caso di specie, nessun tipo di colpevolezza soggettiva da parte del datore veniva riscontrato dai magistrati: sulla base di ciò, nessun addebito poteva essergli mosso automaticamente.
Concludendo, quindi, la Cassazione ha deciso che, nel caso di un infortunio sul lavoro, la responsabilità penale del datore e degli eventuali superiori deve essere sempre provata, sia con riferimento al profilo del danno che a quello della colpevolezza.