Articoli
Tutti gli aggiornamenti, gli approfondimenti e i casi pratici analizzati e realizzati dai nostri esperti in materia agricola, fiscale, economica e del lavoro.
I social network hanno sempre una maggiore diffusione in Italia, ma è fondamentale utilizzarli con cura ed attenzione. Non sono infrequenti, infatti, i casi in cui un post su Facebook può essere causa di condanne e sanzioni.
Solo per citare un esempio, si pensi al caso oggetto della recente pronuncia della Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 10280/2018, si è pronunciata sul ricorso di una lavoratrice licenziata per giusta causa dopo aver pubblicato un post su Facebook in cui gettava discredito sull’azienda e la sua proprietà, nonché annunciando di mettersi (abusivamente) in malattia laddove non si fosse normalizzata la situazione.
Contro le decisioni di primo e secondo grado, entrambe a sfavore della lavoratrice, questa presentava ricorso anche in Cassazione, adducendo che la condotta era viziata dal suo precario stato di salute psichica, il quale era idoneo a determinare una soglia di volontà e di percezione della realtà ridotte rispetto ad un soggetto sano. Inoltre, si rilevava una sproporzione tra la condotta contestata e la sanzione comminata: pertanto si chiedeva la reintegra nel posto di lavoro.
I giudici di legittimità, però, non ribaltavano la decisione presa nei primi due gradi di giudizio: secondo gli Ermellini, infatti, la condotta della lavoratrice era idonea ad incrinare irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra datore e lavoratore subordinato che sta alla base del rapporto di lavoro.
Il richiamo a malattie asintomatiche in caso di dissensi con il datore di lavoro da parte di un soggetto dalla documentata e frequente morbilità, la diffamazione effettuata sui social network in assenza di cause che potessero indurre a pensare ad una riduzione temporanea della capacità di intendere e volere: queste le ragioni per cui la Cassazione ha ritenuto corretto confermare la sanzione del licenziamento per giusta causa comminata dal datore di lavoro.
Va evidenziato che non si tratta di una pronuncia isolata, bensì di una sentenza che si inserisce in un filone giurisprudenziale che va via via ingrossandosi, vista la sempre maggiore diffusione di casi. Come quello analizzato dalla Cassazione con la sentenza n. 10897/2018, in cui è stato confermato come legittimo il licenziamento di un sindacalista che attaccava in maniera pesante la sua azienda su un blog.
Concludendo, si ritiene doveroso invitare tutti gli utenti dei social network ad utilizzare tali strumenti con grande attenzione, in quanto pubblicare contenuti equivale ad esporre in una pubblica piazza virtuale i propri pensieri e le proprie proposte.
Anche per quanto riguarda il profilo fiscale, la lente dei controlli è sempre più attenta ai contenuti postati sul web: sono numerosi gli accertamenti effettuati sulla base di foto su Facebook (si pensi ad esempio ad un’azienda agricola che posta carrelli di fiori acquistati da terzi) o sulla base dei contenuti del proprio sito internet.
Occorre sempre ricordare che il web è uno strumento estremamente potente ma che, in quanto tale, deve essere utilizzato con cautela e consapevolezza o rischia di trasformarsi in un pericoloso boomerang per lavoratori ed aziende.