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Chi guida professionalmente un mezzo di trasporto e viene pizzicato positivo ad un test antidroga può essere legittimamente licenziato da parte del datore di lavoro. Questo l’interessante contenuto della sentenza n. 12994/2018 della Corte di Cassazione.
Il caso oggetto di controversia riguardava un autista che, a seguito dei periodici accertamenti tossicologici, era stato licenziato dal proprio datore di lavoro per essere risultato positivo alla cannabis ad un controllo.
Nei primi due gradi di merito, i giudici avevano per due volte rigettato le istanze del lavoratore, il quale però presentava successivo ricorso alla Corte di Cassazione, contestando l’operato dei magistrati precedentemente pronunciatisi.
In particolare, il lavoratore affermava che la violazione posta in essere era da ritenersi entro il cosiddetto “minimum etico”, tale pertanto da non giustificare alcuna irrogazione di sanzioni. Peraltro, il provvedimento disciplinare presentava la citazione del Regio Decreto n. 148/1931, il quale prevede come causa di licenziamento solo l’ubriachezza durante l’orario di lavoro e non già il consumo di droghe: non poteva quindi essere adottata una interpretazione estensiva di tale norma.
Inoltre, il lavoratore presentava ulteriori doglianze circa il mancato rispetto del protocollo antidroga e la mancata possibilità da parte dei giudici di provare l’abbondante quantità di fumo passivo respirato nei giorni precedenti al controllo.
Analizzata la questione da parte dei giudici di Cassazione, il ricorso è stato da questi cassato con ferma decisione.
In prima battuta, i giudici di legittimità hanno affermato che il consumo di sostanze stupefacenti posto in essere da un autista professionista supera sicuramente il minimo etico, a prescindere dal mancato riferimento nel Regio Decreto n. 148/1931: ivi, infatti, era contemplato lo stato di ubriachezza come unico modo riconosciuto di alterazione della psiche.
In particolare, però, il nodo cruciale della controversia era da rinvenirsi nell’irrimediabile compromissione del rapporto fiduciario con il datore di lavoro che la positività al controllo antidroga aveva causato.
Il comportamento extralavorativo del lavoratore, infatti, aveva potenziali riflessi anche sullo svolgimento dell’attività lavorativa, in quanto potenzialmente idoneo ad aumentare il livello dei rischi e a peggiorare la qualità del servizio svolto sul posto di lavoro. Tale considerazione, precisa la Cassazione, deve essere sempre svolta in relazione alle specifiche mansioni e delle specifiche attività: nel caso in esame, pare evidente come le alterazioni psichiche dovute all’uso di droghe possano comportare un aumento dei rischi collegati all’attività di guida svolta dal lavoratore.
Pertanto, concludono gli Ermellini, il licenziamento deve ritenersi pienamente legittimo e al lavoratore non sono concesse attenuanti per la sua condotta, di per se sufficiente ed idonea ad incrinare, irreversibilmente, il rapporto di fiducia con il datore di lavoro.