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La sentenza della Corte di Giustizia europea del 27 giugno 2019 assesta un duro colpo alla gestione dello Stato italiano delle quote latte e delle sanzioni comminate agli allevatori italiani. La normativa italiana contrasta con regolamenti comunitari, pertanto le sanzioni non sono state correttamente determinate.
Da diversi decenni l’Unione Europea sta tentando di realizzare dei meccanismi che consentano di regolare gli squilibri tra domanda ed offerta nel settore lattiero caseario fissando dei tetti di produzione nazionale.
A decorrere dal 1984 è stato introdotto un regime di prelievo supplementare che avrebbe dovuto penalizzare le produzioni eccedenti i limiti individualmente attribuiti alle aziende. Tale regime avrebbe dovuto concludersi nel 1993 ma è stato prorogato per ulteriori 7 anni dal Regolamento n. 3950/92.
Successivamente l’art.1 del Regolamento n. 3950/92 è stato modificato dal Regolamento (CE) n. 1256/1999 che ne ha prorogato l’applicazione di ulteriori 8 anni, fissando il prelievo nella misura del 115% del prezzo indicativo del latte.
L’ammontare del contributo dovuto dagli allevatori che avessero splafonato avrebbe dovuto essere calcolato previa assegnazione, secondo criteri proporzionali, dei quantitativi di riferimento non utilizzati.
Il legislatore italiano invece con la legge n. 43/1999 ha disposto una ripartizione delle eccedenze per il periodo 1995/1999 secondo altri criteri.
Successivamente, la norma è stata ulteriormente prorogata dal D.L. 8/2000 a cui è seguita la decisione Agea del 26 luglio 2001 intitolata “Regime quote latte - Compensazione nazionale, periodo 2000/2001”.
Ed è proprio dall’applicazione di questa decisione di Agea che muove il contenzioso di un’impresa produttrice di latte che ha rilevato l’incompatibilità “metodica italiana” con il Regolamento europeo.
Il produttore sosteneva che l’art. 1, comma 8 del D.L. 43/1999 e l’art. 1, comma 5 del D.L. 8/2000 fosse contrario a quanto disposto dai Regolamenti Comunitari n. 3950/1992 e 536/1993 in quanto non prevedeva che il prelievo supplementare fosse quantificato dopo la riassegnazione dei quantitativi di riferimento mediante criteri proporzionali e in funzione dei quantitativi a disposizione di ciascun produttore.
Di conseguenza, le sanzioni applicate ai produttori “splafonatori” andavano ricalcolate.
La tenacia del produttore di affermare il proprio diritto ha fatto sì che la questione giungesse prima al Consiglio di Stato che, in seguito ne rinviava il giudizio alla Corte di Giustizia europea.
La Corte, ripercorrendo l’iter normativo, ha ribadito il fatto che in base all’art. 2 del Regolamento (CEE) n. 3950/1992, modificato dal Regolamento (CE) n. 1256/1999, “qualora uno stato membro decida di procedere alla riassegnazione dei quantitativi di riferimento inutilizzati, tale riassegnazione deve essere effettuata, tra i produttori che hanno superato i propri quantitativi di riferimento, in modo proporzionale ai quantitativi di riferimento a disposizione di ciascun produttore”.
Il legislatore italiano e Agea hanno quindi disapplicato il contenuto del regolamento comunitario.
Agea sarà chiamata ad una complessa operazione di ricalcolo al fine di rideterminare le quote per ogni produttore splafonatore e conseguentemente conteggiare le multe effettivamente dovute. Ciò quanto meno fino ad aprile 2004, sempreché non emergano ulteriori sorprese da un altro caso attualmente pendente presso la Corte di Giustizia europea che potrebbe determinare anche ricalcoli per gli anni successivi al 2003.