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La Corte di Giustizia Europea, nella sentenza sulla causa C-446/18, ha dichiarato che l’Italia non ha proceduto tempestivamente ad adottare le misure previste nella decisione della Commissione Europea del 2015 per far fronte alla diffusione del batterio della Xylella Fastidiosa.
Il batterio della Xylella è stato rinvenuto in Europa per la prima volta nel 2013 su piante di olivo situale in Puglia, ma colpisce anche altre tipologie di piante.
La Commissione Europea, vista la pericolosità di questo batterio che colpisce numerose piante e che, dagli studi effettuati, risulta trasmesso tramite alcuni insetti che possono spostarsi di circa 100 metri nell’arco di 12 giorni, aveva imposto agli stati membri l’obbligo di rimuovere immediatamente non solo le piante infette, ma anche le piante ospiti nel raggio di 100 metri attorno a quelle infette, ancorché non presentassero i sintomi dell’infezione, al fine di creare una zona cuscinetto.
Nel 2016, il proliferare del batterio nella regione Puglia aveva raggiunto una tale vastità da rendere impossibile l’eradicazione delle piante nelle aree interessate. Pertanto, la Commissione Europea ha modificato la propria decisione prevedendo in via eccezionale, per i territori infetti in modo stabile, misure di contenimento alternative che comprendevano il monitoraggio del territorio interessato e l’abbattimento delle sole piante infette situate, in particolare, in una fascia della zona infetta avente una larghezza di 20 km (Tav. 1). Tale distanza andava calcolata a partire dal bordo esterno della medesima zona e interessava le province di Brindisi e di Taranto da est a ovest.
Tav. 1 - Fonte CVRIA
Nel 2018 la Commissione ha proposto un ricorso per inadempimento dinnanzi alla Corte di giustizia ritenendo che l’Italia non si fosse conformata alla disposizione comunitaria. A conferma della tesi della Commissione vi era anche il fatto che nel frattempo il batterio si era diffuso dalla provincia di Lecce a tutto il territorio delle province limitrofe di Brindisi e Taranto.
Nella sentenza sulla causa C-446/18, la Corte ha dichiarato che l’Italia, alla data del 14/09/2017, ha effettivamente omesso due degli obblighi imposti dalla Commissione.
La Corte non ha accettato le giustificazioni di carattere amministrativo e giuridico e l’indicazione di ostacoli materiali proposte dal nostro Paese ed ha rilevato che le situazioni di ordine interno di uno Stato membro non giustificano l’inosservanza degli obblighi fissati dalla Commissione.
L’Italia non ha quindi adottato le necessarie misure nazionali d’emergenza che avrebbero consentito di superare gli ostacoli evidenziati con la necessaria tempestività.
Non solo. La Corte ha constatato che non si è nemmeno provveduto a garantire il corretto monitoraggio nelle zone di contenimento. Infatti, le ispezioni effettuate tra l’agosto del 2016 e il mese di maggio 2017, nonostante quanto sostenuto dall’Italia circa il fatto che la presenza della Xylella possa essere individuata tutto l’anno, sono state contestate dalla Commissione dal momento che le piante a foglie caduche nel periodo in cui sono spoglie non permettono di rilevare la presenza dell’infezione. Inoltre, l’Italia non ha comunque terminato l’ispezione annuale prima della primavera, stagione di volo dell’insetto vettore del batterio al fine di consentire le tempestive misure di contenimento.
Tra le accuse mosse dalla Commissione, respinte dalla Corte in quanto non sufficientemente provate, vi era anche quella di un generale e costante inadempimento degli obblighi imposti per contenere la diffusione del batterio. In pratica veniva contestato un atteggiamento contrario all’obbligo di leale cooperazione sancito dall’art. 4 del Trattato sull’Unione Europea.
Se l’Italia dovesse continuare a non applicare le norme comunitarie, la Commissione o un altro Stato membro potrebbe proporre un nuovo ricorso per inadempimento. Qualora la Corte di Giustizia accerti l’inadempimento lo Stato interessato deve conformarsi immediatamente.
Qualora la Commissione ritenga che lo Stato non si sia conformato alla sentenza può proporre un ricorso per infrazione chiedendo sanzioni pecuniarie.
Dato che è interesse della Puglia e dell’agricoltura italiana contenere questa infezione, la sentenza appena emessa dalla Corte Europea deve far riflettere per impostare un diverso approccio ad un problema i cui riflessi economici hanno comportato (e comporteranno) la perdita di posti di lavoro e reddito.