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La rottura o conversione dei prati permanenti rappresenta un’operazione molto comune nel mondo dell’agricoltura, ma occorre seguire le necessarie procedure per evitare problemi e sanzioni, come la decurtazione e la perdita dei contributi PAC.
Con la circolare n. 35573 del 24 aprile 2018, AGEA è tornata ad occuparsi della questione, allo scopo di fornire alcune importanti indicazioni a tutti gli operatori del settore.
Preliminarmente, occorre ricordare che il DM 6513/2014 individua due elementi fondamentali per poter definire i prati permanenti come tali:
È importante ricordare come rimanga prato permanente quel fondo destinato alla produzione di erba e altre piante erbacee da foraggio anche se il terreno è stato arato e seminato con un’altra varietà di foraggio diversa da quella precedente.
Su tali fondi, erba e piante erbacee dovranno essere presenti in miscugli simili a quelli rinvenibili in natura: non possono essere prati o pascoli permanenti, le semine in purezza di alcune piante comunque presenti nei miscugli.
Le superfici messe a riposo per 5 anni consecutivi sono classificate come prati permanenti. Come precisato dalla circolare AGEA, se alcune particelle lasciate a riposo vengono utilizzate ai fini EFA, il conteggio dei cinque anni si congela e ricomincia al termine del periodo: ad esempio, se una particella viene lasciata a riposo per due anni, poi utilizzata ai fini EFA, alla fine di tale periodo mancheranno ancora tre anni per essere considerata prato permanente.
Una volta che un terreno ha acquisito lo status di prato permanente, l’agricoltore non può più liberamente riconvertirlo ad altro uso o coltura. Infatti, la rottura dei prati deve essere autorizzata da AGEA, previa la presentazione di un’apposita richiesta, in cui devono essere indicate nel dettaglio le superfici da convertire.
La circolare in commento sembra aprire alla possibilità di presentare la domanda in via telematica, ma ad oggi restano ancora utilizzabili i tradizionali modelli cartacei. Dalla presentazione della richiesta, AGEA ha 30 giorni per rispondere all’istanza, dopodiché la domanda si presume accettata in virtù del principio del silenzio-assenso: in caso di esito positivo, l’agricoltore potrà procedere alla rottura dei prati a partire dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello di domanda.
In caso di controlli, la mancata presentazione della domanda obbliga l’agricoltore a riconvertire il fondo, ripristinando la situazione precedente all’intervento.
È utile evidenziare che la disciplina comunitaria prevede che i prati permanenti non possano diminuire in misura superiore al 5% annuo sul territorio nazionale.
Ciò comporta diverse procedure da seguire in base alla misura della riduzione:
- nel caso di una riduzione entro il limite del 3,5%, non è necessario alcun intervento da parte di AGEA;
- nel caso in cui la riduzione sia compresa tra il 3,5% e il 5%, l’autorizzazione alla rottura dei prati è concessa, ma subordinata all’obbligo, in capo dell’agricoltore, di creare una nuova superficie a prato permanente dello stesso numero di ettari;
- nel caso in cui la riduzione sia superiore al 5%, ci sarà il blocco della concessione delle autorizzazioni e, contestualmente, verrà ordinata la riconversione dei prati “rotti”, secondo criteri di priorità.
Riteniamo opportuno precisare che le procedure di rottura dei prati e dei pascoli permanenti possono consistere in:
Pertanto, per tutti gli agricoltori che conducono prati permanenti, attenzione: prima di intervenire sui terreni e cambiarne destinazione o coltura, meglio rivolgersi al proprio CAA o referente per evitare problemi o contestazioni.