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La gestione degli sfalci e potature del verde proveniente da aree pubbliche è stata oggetto negli ultimi anni di un braccio di ferro tra l’Unione Europea e l’Italia.
Il tutto origina dall’art. 2, paragrafo 1, lettera f) della direttiva 2008/98/CE in cui si precisa che sono esclusi dall’ambito di applicazione della suddetta direttiva le “materie fecali, se non contemplate dal paragrafo 2, lettera b)[1], paglia e altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati nell’attività agricola, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana”.
Il motivo per il quale la norma europea non ha citato gli sfalci e le potature risiede nel fatto che la direttiva include tali rifiuti tra quelli organici che, se provenienti da parchi e giardini pubblici, dovrebbero essere soggetti ad una corretta gestione del rifiuto in quanto l’assenza di un controllo adeguato sarebbe in contrasto con le disposizioni della direttiva.
In base alla direttiva, sfalci e potature possono essere distinti in:
Per tale ragione, la Commissione Europea ha censurato la normativa italiana che non ha recepito tale distinzione che, invece, il legislatore europeo aveva codificato sia al fine di una utile complementarietà di questi materiali con gli altri scarti domestici al fine dell’ottenimento di compost organico (grazie all’apporto cellulosa il compost beneficia di una migliore struttura), sia per il fatto che tali rifiuti, a differenza di quelli di origine agricola-forestale, necessiterebbero di adeguati controlli.
Nella norma italiana, contestata dalla UE, gli sfalci sono stati riportati all’art. 185, comma 1, lettera f) del D.Lgs. 152/2006.
Tale articolo, fino al 2016, indicava che non rientravano tra le norme di gestione dei rifiuti “le materie fecali, se non contemplate dal comma 2, lettera b), paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente né mettono in pericolo la salute umana”.
Successivamente, a seguito delle modifiche apportate dalla Legge n. 154/2016 l’articolo è stato così modificato:
“le materie fecali, se non contemplate dal comma 2, lettera b), del presente articolo, la paglia, gli sfalci e le potature provenienti dalle attività di cui all'articolo 184, comma 2, lettera e), e comma 3, lettera a), nonché ogni altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso destinati alle normali pratiche agricole e zootecniche o utilizzati in agricoltura, nella silvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa, anche al di fuori del luogo di produzione ovvero con cessione a terzi, mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente ne' mettono in pericolo la salute umana.”
I riferimenti all’articolo 184 richiamano proprio le casistiche che la direttiva comunitaria intende ricomprendere tra i rifiuti organici (quindi soggetti alla disciplina dei rifiuti). In particolare, il comma 2, lett. e) che comprende “i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali”.
Tale disposizione, risultante dalle modifiche operate dalla L. 154/2016, è stata oggetto dell’atto di segnalazione dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato AS 1512 del 22 maggio 2018, la quale ha auspicato “l’opportunità di abrogare l’attuale lettera f) del comma 1 dell’art. 185 del decreto legislativo n. 152/2006.
Per evitare una procedura di infrazione, il Legislatore nazionale ha dovuto rimettere mano alla norma. Cosi, con la legge 37/2019 entrata in vigore il 26 maggio scorso la lettera f) dell’articolo 185 è stata così definitivamente modificata:
“le materie fecali, se non contemplate dal comma 2, lettera b), del presente articolo, la paglia e altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, gli sfalci e le potature effettuati nell'ambito delle buone pratiche colturali, nonché' gli sfalci e le potature derivanti dalla manutenzione del verde pubblico dei comuni, utilizzati in agricoltura, nella silvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa, anche al di fuori del luogo di produzione ovvero con cessione a terzi, mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente ne' mettono in pericolo la salute umana”.
Come si può notare, ancora una volta il legislatore italiano ha trovato il modo di non allinearsi alla direttiva comunitaria.
Appare evidente che il Legislatore nazionale abbia voluto traslare, anche nell’ambito della normativa ambientale, la multifunzionalità riconosciuta dall’art. 2135 del c.c. all’imprenditore agricolo, cercando di escludere quelle attività per le quali determinati materiali possano essere oggetto delle attività agricole.
Con l’intento di tutelare un’attività sovente svolta dalle imprese del settore florovivaistico, ovvero quella di cura e manutenzione del verde pubblico, ha concesso un’apertura che la disciplina europea non contempla.
Le divergenze dell’attuale disciplina italiana con quella comunitaria sono rappresentate da due aspetti:
Sfalci e potature possono pertanto continuare ad essere gestiti liberamente da parte degli imprenditori agricoli purché destinati ad un uso agricolo.
Invece, se questi scarti hanno una diversa destinazione, in quanto destinati ad esempio a centri di raccolta per il trattamento dei rifiuti o il compostaggio, non rientrano nel regime agevolato.
In tal caso, non operando alcuna esclusione dagli adempimenti previsti dalla normativa sui rifiuti, il conferimento in discarica richiede l’iscrizione all’Albo gestori ambientali autorizzati alla raccolta ed al trasporto di rifiuti presso la Camera di Commercio. Inoltre, per il trasporto si dovrà emettere l’apposito formulario per i rifiuti indicando i seguenti codici CER:
[1] Art.2 lett. b): “terreno (in situ), inclusi il suolo contaminato non escavato e gli edifici collegati permanentemente al terreno”