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Quella sui prodotti a base di canapa è diventata ormai un’epopea la cui fine appare ancora lontana da venire.
Tuttavia, per quanto riguarda gli alimenti derivati dalla cannabis sativa, il MIPAAF ha emanato un apposito Decreto, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 15 gennaio 2020, che potrebbe rappresentare un primo passo verso lo sblocco della situazione di paralisi che si è venuta a creare.
Nel richiamato Decreto approvato dal MIPAAF sono stati fissati i livelli massimi di THC (tetraidrocannabinolo, il principio attivo della cannabis che produce gli effetti psicotropi) che possono essere contenuti nei prodotti alimentari ottenuti dalla lavorazione della canapa.
I limiti fissati dal Ministero sono i seguenti:
Stando ai primi commenti della norma, tali soglie sono state accolte con perplessità da parte degli operatori, in quanto estremamente basse: per poter rispettare i limiti, quindi, i produttori di canapa dovrebbero effettuare costanti e difficili controlli sul livello di THC delle coltivazioni, con un consistente aggravio di costi e di oneri per le aziende.
Sicuramente, il Decreto in commento fornisce importanti linee guida per chi produce e commercia prodotti di canapa. Linee guida lungamente attese, visto che la Legge n. 242/2016, che recava disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa, disponeva che tale Decreto avrebbe dovuto essere stato approvato entro sei mesi dall’entrata in vigore della Legge, ossia entro luglio 2017.
Un Decreto che arriva solo oggi, dopo che la battaglia sulla canapa è stata duramente combattuta a colpi di provvedimenti del Ministero della Salute e decisioni giurisprudenziali: con la Sentenza n. 30475 del 30 maggio 2019, la Cassazione Penale ha sostanzialmente bandito la commercializzazione dei prodotti alla canapa, mettendo un grosso freno alla crescita di un comparto che era arrivato a produrre un giro di affari di oltre 150 milioni di euro.
L’approvazione del Decreto, peraltro, presta il fianco ad alcune criticità, prima fra tutte la necessaria applicazione del principio del mutuo riconoscimento, che fa salve sul mercato italiano “le merci legalmente commercializzate in un altro stato UE o in Turchia”, così come i prodotti a base di canapa provenienti da Norvegia, Islanda e Lichtenstein.
Pertanto, mentre la rete dei controlli si preannuncia estremamente fitta per le aziende nostrane, i prodotti a base di canapa importati dall’estero potranno contenere anche soglie di THC più alte dei limiti: ciò, per quanto aderente ai principi che fondano il mercato comune europeo, non può che generare un differente (e ingiusto) trattamento sul mercato dei prodotti interni che rischiano così di essere penalizzati.
Il Ministero della Salute ha previsto che l’elenco degli alimenti commercializzabili a base di canapa debba essere periodicamente aggiornato attraverso un apposito Decreto. I relativi controlli sui prodotti a base di canapa e dei relativi livelli di THC, poi, saranno posti in essere da parte dell’Ispettorato Centrale tutela qualità e repressioni frodi del MIPAAF.
Anche l’Unione Europea è chiamata a produrre importanti norme sul tema, in particolare, la Commissione UE dovrà stabilire le tolleranze massime eventualmente necessarie.
Insomma, pare che servirà ancora molto tempo per arrivare ad una definitiva soluzione della questione canapa, il cui dibattito è ancora in essere e la cui disciplina è tuttora in corso di formazione.
La speranza è che questo lungo periodo di incertezza non vada a minare la vitalità e lo sviluppo di un comparto che potrebbe offrire interessanti opportunità per gli imprenditori agricoli.