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Non per tutte le imprese agricole è la mancanza di forza lavoro a mettere in difficoltà chi ha l’onere di gestire le aziende in questo momento critico del Paese. Per le imprese agricole biologiche, infatti, i danni economici provengono principalmente dalla contrazione della domanda a cui si sommano, in certi casi, quelli determinati dalle avversità metereologiche.
In un’intervista al Sole 24 Ore, Antonio Tesini, uno dei fondatori di una cooperativa che da oltre 32 anni produce ortaggi nel rispetto dell’ambiente e senza l’utilizzo di pesticidi, illustra le problematiche del settore.
Le imprese agricole convertite alla produzione biologica si sono organizzate, da molti anni, per vendere i loro prodotti di nicchia attraverso canali che consentono la valorizzazione economica dei propri prodotti. L’agricoltura Bio, infatti, per far fronte alle minori rese per ettaro ed ai diversi costi di produzione, non paragonabili a quelli dell’agricoltura tradizionale, per la cessione delle proprie produzioni, in condizioni normali di mercato, dovrebbe beneficiare di prezzi più elevati rispetto alle produzioni “non Bio”.
Cosicché le imprese agricole biologiche, per rendere economicamente sostenibili le loro attività, hanno fidelizzato i clienti, strutturandosi per la vendita diretta in azienda o presso i mercatini settimanali e le fiere; inoltre, lavorano spesso a stretto contatto con ristoranti e alberghi.
La chiusura di tutti questi canali, dal mese di marzo, ha obbligato le imprese di questo settore a destinare le loro produzione ai canali tradizionali, a prezzi comparabili a quelli dei prodotti “non Bio” e senza la certezza del loro ritiro.
Va ricordato che l’Italia ha il maggior numero di operatori biologici in Europa (79.046) e, in termini di superficie destinata a biologico, è il terzo Paese europeo con 1.958.045 ha, preceduta dalla Spagna con 2.246.474 ha e Francia con 2.035.324 ha (dati SINAB, report “BIO in cifre 2019”).
L’agricoltura biologica rappresenta anche un settore di pregio della nostra produzione agricola, che esporta prodotti per oltre due miliardi di euro.
La Fondazione italiana per la ricerca in agricoltura biologica e biodinamica, in una sua indagine, promossa da AIAB, AssoBiodinamica e Federbio, ha rilevato che le imprese di questo settore sono in grande difficoltà. Due imprese su tre prevedono di poter resistere ancora per non oltre tre mesi.
Dall’indagine emerge che oltre il 50% delle imprese vende la maggior parte della propria produzione al settore HO.RE.CA o tramite la vendita diretta presso fiere e mercatini.
In particolare, la vendita diretta rappresenta il canale di vendita strategico per almeno i due terzi delle imprese intervistate. Al momento, tali volumi di vendita non possono essere garantiti dalle vendite online o dalle consegne a domicilio, che possono consentire la distribuzione di appena il 10% del volume di vendita che, invece, sarebbe necessario per garantire la sopravvivenza delle imprese.
La speranza degli imprenditori è quindi riposta nella riapertura dei mercatini, delle fiere e del settore HO.RE.CA, con la consapevolezza che quest’ultimo settore, in particolare, tarderà a ritornare ai livelli di operatività ante pandemia. Una possibile soluzione potrebbe essere quella di investire sulla promozione e l’export, lavorando contemporaneamente sulla creazione di nuovi canali sul mercato interno.