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Ad oggi, i social network sono il più importate mezzo di comunicazione di massa. Ogni notizia viene diffusa e commentata su queste piattaforme. Di conseguenza, la necessità di moderare i toni e bloccare contenuti offensivi o violenti si scontra, spesso, con la libertà di parola degli utenti, che vedono i social come un luogo dove poter esprimere le proprie opinioni qualunque esse siano.
Ogni media ha, pertanto, delle regole su quanto è lecito pubblicare e queste politiche sui contenuti possono variare anche da Paese a Paese. Ad esempio, nel caso di Cina e Turchia, viene esercitato un controllo ferreo sui social, imponendo la censura e limitando di fatto la libertà d’espressione e la possibilità di accedere a informazioni neutrali e indipendenti dall’ideologia governativa.
Da un punto di vista legale non si può imporre di non censurare contenuti, di conseguenza le piattaforme mediatiche, in quanto imprese private, hanno i diritti legali che possono esercitare.
Tali diritti sono stati esercitati, ad esempio, nel caso Trump, ex-presidente americano, al quale, sia Facebook che Twitter, hanno proibito di pubblicare, in seguito a segnalazioni per “esaltazione alla violenza” e “incitazione all’odio”.
Una cosa è certa, quella di oggi non è l’immagine dello stesso internet di qualche anno fa, concepito per la libera circolazione delle informazioni, della conoscenza e di idee. Quello che un tempo era uno spazio aperto al dialogo, anche tra pensieri divergenti, è diventato ora una replica delle società in cui viviamo.
Chiudiamo questa riflessione con la seguente domanda: fino a che punto è il caso di imporre la censura sui contenuti pubblicati sui social, senza sfociare in una violazione della libertà di espressione?