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Con la Legge 5 dicembre 1985, n.730, il Legislatore ha previsto che, a sostegno dell’agricoltura, potessero essere svolte attività “…anche mediante la promozione di forme idonee di turismo nelle campagne, volte a favorire lo sviluppo ed il riequilibrio del territorio agricolo, ad agevolare la permanenza dei produttori agricoli nelle zone rurali attraverso l’integrazione dei redditi aziendali ed il miglioramento delle condizioni di vita…”, regolamentando di fatto in questo modo, per la prima volta, l’attività agrituristica.
Il fine di questo intervento legislativo era quello di far fronte al progressivo calo dell’occupazione di lavoratori in agricoltura, prevedendo lo sviluppo rurale come fonte alternativa di reddito per gli imprenditori agricoli.
La Legge 96/2006, in seguito, ha di fatto abrogato e sostituito la Legge 730/1985, disponendo che l’attività di ricezione ed ospitalità dovesse essere svolta dall’imprenditore agricolo o dai loro associati o familiari ai sensi dell’art. 2135 del c.c., allo scopo di tutelare e valorizzare il territorio attraverso l’utilizzo della propria azienda agricola e degli edifici presenti in azienda idonei sotto il profilo igienico-sanitario.
Le attività che possono essere svolte, ai sensi dell’art. 2 della Legge 96/2006, sono principalmente:
Come previsto nell’art.4 della Legge 96/2006, sono le Regioni a stabilire i limiti e gli obblighi a cui l’imprenditore deve sottostare nell’ambito dell’attività agrituristica, definendo così i criteri per valutare in maniera costante il rapporto di connessione che lega questa attività a quella agricola.
Al fine di qualificare l’attività agrituristica e promuovere i prodotti del territorio, nell’ambito della somministrazione di pasti e bevande, le Regioni danno all’imprenditore la possibilità di integrare l’offerta di propri prodotti con altri provenienti dalla zona in cui viene esercitata l’attività, al fine di ampliare la proposta agroalimentare; fra i prodotti che è possibile somministrare ai clienti, sono ricomprese le bevande alcoliche e superalcoliche, purché anch’esse siano tipiche della tradizione.
I prodotti impiegati nella somministrazione devono tuttavia comprendere, in misura prevalente, le materie prime provenienti dalla propria azienda agricola; per questo motivo occorre che vengano effettuati dei passaggi interni fra l’attività agricola prevalente e quella agrituristica, secondo determinate percentuali individuate nelle delibere regionali.
Sotto il profilo contabile, l’attività agricola e quella agrituristica sono tenute a mantenere le scritture contabili separate ai sensi dell’art. 36, comma 4 del D.P.R. 633/72, con l’obbligo di inserire le due attività in moduli separati in sede di dichiarazione IVA.
Di conseguenza, i passaggi interni sono oggetto di fatturazione da parte dell’attività agricola nei confronti dell’attività agrituristica con successiva rilevazione nei registri contabili.
L’operazione di passaggio interno è soggetta ad IVA: nel caso in cui l’attività agricola adottasse il regime IVA normale, occorrerebbe versare l’imposta relativa alla fattura emessa; mentre, con l’attività agrituristica soggetta a regime forfettario (come nella maggior parte dei casi), non sarebbe possibile la detrazione dell’imposta sugli acquisti poiché la detrazione è forfettizzata al 50% sull’IVA da versare relativa alle fatture attive.