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Il regolamento n. 1.308/13 indica specificatamente le “Zone Viticole” da utilizzare per indicare l’origine del prodotto trasportato.
- CI: regione Valle d’Aosta e province di Sondrio, Bolzano, Trento, Belluno. In precedenza questa zona era denominata C I b);
- CII: Abruzzo, Campania, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia (escluso Sondrio), Marche, Molise, Piemonte, Toscana, Umbria e Veneto (esclusa Belluno), compreso le isole appartenenti a tali regioni, come l’Isola d’Elba e le altre isole dell’arcipelago toscano, le isole dell’arcipelago ponziano, Capri e Ischia;
- CIIIa): non riguardano l’Italia;
- CIIIb): Calabria, Basilicata, Puglia, Sardegna e Sicilia, comprese le isole appartenenti a dette regioni, come l’isola di Pantelleria, le isole Eolia, Egadi e Pelagie.
Come recente confermato dalla nota Mipaaf- Icqrf in data 16 ottobre 2015, prot. 12970, il riferimento alla zona viticola è espressamente posto in relazione all’origine del prodotto. Pertanto l’indicazione della Zona Viticola o delle Zone Viticole di cui è originario un prodotto vitivinicolo sono quelle dalle quali sono state raccolte le uve dalla cui trasformazione quel prodotto stesso è stato ottenuto.
Infine sui registri e nei documenti di trasporto le Zone Viticole devono essere comunque tutte elencate nella designazione del prodotto ottenuto, qualunque sia la % di ciascuna ZV presente nel prodotto trasportato e che, inoltre, nessuna disposizione vigente impone l’indicazione della percentuale % di ciascuna ZV presente in una miscela.
Senza riprendere qui l’intero complesso argomento “etichettatura”, ci limitiamo a ricordare, soprattutto con riferimento alle varietà ammesse più recentemente, che:
- il nome di talune varietà può essere sostituito dal relativo “sinonimo” purché ufficialmente riconosciuto dal Registro Nazionale delle varietà di uve da vino o dal D.m. 13 agosto 2012 sull’etichettatura dei vini: vedasi in particolare l’Allegato 5 (L.V. n. 9/2012, pag. 689). In talune circostanze (nomi di varietà contenenti nomi geografici tutelati) l’uso del sinonimo diventa obbligatorio. Ma se la varietà predetta non ha sinonimo ufficialmente ammesso, il vino non può far riferimento alla varietà da cui è stato ottenuto per almeno l’85 %;
- il nome di talune varietà non è utilizzabile in quanto è riservato solo ad alcuni Igt/Doc/Docg: la questione è complessa, per cui necessariamente si rinvia al fascicolo speciale di “Legislazione Vinicola” n. 5-6/2013, nonché agli Allegati 1, 2 e 3 del D.m. 13 agosto 2012 citato sub a) (pag. 683-687). Evidente, in tal caso, che lo stesso nome di varietà non può essere indicato per i vini diversi da quelli così tutelati;
- vini varietali (diversi dagli Igt/Doc/Docg varietali): per questi vini (soggetti alla certificazione speciale o declassamento/riclassificazione equipollente di cui al D.m. 19 marzo 2010 (L.V. n. 5/2010, pag. 354) valgono ulteriori restrizioni, quali:
- vini (ex vino da tavola), vini frizzanti, vini liquorosi ed altri diversi da quelli sub cb): ammesso citare solo le seguenti 6 varietà: Cabernet franc, Cabernet Sauvignon, Chardonnay, Merlot, Sauvignon, Syrah, nonché il sinonimo Cabernet, ma solo per le due varietà per il quale è stato espressamente previsto: Cabernet franc e Cabernet Sauvignon);
- per i vini spumanti (v.s., v.s.q. e v.s.q.a.): per questi vini la facoltà di dichiarare il nome della varietà è più ampio, beninteso nei limiti di cui a detti Allegati 3 e 4 del Decreto sull’etichettatura citato sub b).