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Agricoltura sotto il tiro del Fisco. La riqualificazione dei contratti di soccida in contratti di appalto

La soccida rappresenta indubbiamente il contratto agrario più importante e maggiormente utilizzato nel mondo agricolo, anche alla luce del fatto che dopo l’abolizione della mezzadria e della colonia è rimasto l’unico tipo di contratto associativo vigente oltre all’ipotesi di compartecipazione agraria.

Nel contratto di soccida, disciplinato dall’art. 2170 del codice civile, il soccidante e il soccidario si associano per l’allevamento e lo sfruttamento di una certa quantità di bestiame e per l’esercizio delle attività agricole connesse, al fine di ripartire l’accrescimento del bestiame e degli altri prodotti e utili che ne derivano.

Tale tipologia contrattuale se impostata correttamente consente sia al soccidante che al soccidario di essere inquadrati come imprenditori agricoli anche ai fini fiscali, usufruendo delle agevolazioni dettate dall’art. 32 del TUIR (imposte dirette) e dall’art. 34 del D.P.R. 633/72.

Come sopra detto tale tipologia contrattuale è di fondamentale importanza per il mondo agricolo e ormai da anni è oggetto di una particolare attenzione da parte dell’Amministrazione Finanziaria che, in più di una occasione, ha tentato di disconoscerne gli effetti associativi attraverso la riconduzione del rapporto ad un mero contratto di appalto. Fiscalmente tale contestazione potrebbe avere effetti devastanti poiché comporta la non applicabilità dei criteri di determinazione del reddito su base catastale ex art. 32 del TUIR e del regime speciale IVA di cui all’art. 34 del D.P.R. 633/72.

Proprio su questo argomento si è espressa recentemente la Corte di Cassazione che con la sentenza n. 17679 del 2013, ha respinto le pretese dell’Amministrazione Finanziaria tese a riqualificare i contratti di soccida in contratti di appalto.

Il tutto nasce da una verifica fiscale dell’Agenzia delle Entrate nei confronti di una cooperativa agricola, a seguito della quale i rapporti intercorsi fra la società ed alcuni imprenditori agricoli, formalmente inquadrati come contratti di soccida, venivano riqualificati come contratti di appalto.

Secondo le motivazioni riportate nel ricorso in Cassazione presentato dall’Ufficio, già soccombente nei primi due gradi di giudizio, la natura simulata del contratto di soccida doveva desumersi dalle seguenti caratteristiche:

- diversamente da quanto riportato nel contratto di soccida, in cui era previsto che all’inizio di ciascun ciclo doveva essere effettuata la stima degli animali, indicandone il peso, secondo l’Ufficio le parti non avevano provveduto a tale stima, in quanto non erano stati indicati con precisione i capi di bestiame da conferire.

- le parti avevano omesso inoltre di indicare la durata dei cicli.

- nel contratto era previsto che la proprietà dei capi rimaneva di fatto in capo al soccidante; pertanto, secondo l’Ufficio si era avuta una mera consegna del bestiame al soccidario  e non anche un conferimento, requisito essenziale ex art. 2170 c.c..

- secondo l’Ufficio la concessione ai soccidari di “acconti” doveva ritenersi incompatibile con il tipo negoziale che prevedeva la distribuzione di utili solo al termine del ciclo di attività di allevamento.

- il pagamento da parte del soccidante al soccidario di fatture per la prestazioni di servizi, doveva essere considerato incompatibile con l’assenza di prestazione corrispettive che caratterizza il contratto di soccida.

Svolto un breve riassunto delle eccezioni sollevate dall’Ufficio, analizzeremo qui di seguito le motivazioni con cui la corte di Cassazione ha ritenuto infondato infondato il tentativo di ritenere simulato il contratto di soccida, riqualificandolo come contratto di appalto.

Nel respingere i primi due  motivi di ricorso, aventi ad oggetto l’omessa stima del bestiame e la fissazione del ciclo produttivo, i Giudici di legittimità hanno evidenziato che l’Agenzia non ha dato la prova dell’errore logico in cui sono incorsi i Giudici di merito che nel primo e nel secondo grado di giudizio hanno considerato i contratti di soccida dotati di tutti gli elementi necessari ad identificare tale tipologia di contratto associativo.

Nel respingere il terzo motivo di ricorso, avente ad oggetto il mancato effetto traslativo della proprietà del bestiame in capo al soccidario, la Corte di Cassazione ha evidenziato che il conferimento del bestiame al soccidario non determina il trasferimento della proprietà. Ciò si desume chiaramente dall’art. 2171, comma 2, del Codice Civile, in base al quale “La stima del bestiame all’inizio del contratto non ne trasferisce la proprietà al soccidario”.

Nel respingere il quarto motivo di ricorso,  la Corte di Cassazione ha espresso un importantissimo principio avente ad oggetto la legittimità della corresponsione di acconti nell’ambito del contratto di soccida. Secondo i Giudici di legittimità l’attribuzione di acconti sull’accrescimento, salvo conguaglio al termine del contratto o del ciclo di accrescimento, introduce nel contratto di soccida un elemento previsionale che non altera la funzione economico e sociale del tipo negoziale. Infatti, l’inserimento di clausole di questo tipo non pregiudica la successiva applicazione del criterio di prelevamento e di ripartizione degli utili stabilito dagli artt. 2178 e 2181 del codice civile, poiché l’esigenza di una verifica finale non comporta, di per sé, un impedimento economico o giuridico alla pattuizione di anticipi, laddove le parti contraenti si riservino comunque in sede di conguaglio finale di operare la definitiva attribuzione delle quote di utili a ciascuna di esse spettanti.

Sull’ultimo motivo di ricorso, avente ad oggette le presunte fatture di servizi pagate al soccidario, la Suprema Corte si è limitata ad evidenziare che tale circostanza non è stata sufficientemente provata dall’Ufficio che ha omesso di identificare le fatture e i servizi oggetto di contestazione.

La sentenza in esame è di fondamentale importanza, poiché ci consente di capire che la redazione corretta del contratto di soccida è un elemento essenziale, come essenziale è la tenuta corretta dei registri di carico e scarico degli animali di cui all’art. 18-bis del D.P.R. 131/86, del verbale di fini ciclo dal quale deve risultare la quantità iniziale degli animali conferiti, le mortalità, i consumi di mangime sulla base di una tabella di conversione, il prezzo, gli animali ritirati alla fine del ciclo,  e la determinazione degli accrescimenti spettanti al soccidario. In assenza di questi elementi la difesa dalle contestazioni dell’Ufficio risulterebbe particolarmente ardua, se non quasi impossibile.  

 



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