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Il lavoro dei figli minori non legittima la prelazione agraria

Ai fini dell'esercizio del riscatto agrario non rileva l'apporto lavorativo dato dai figli minori d'età del confinante coltivatore diretto estromesso dal diritto di prelazione. Lo ha riaffermato la terza sezione civile della Corte di Cassazione con sentenza n. 19250 del 2 luglio 2015, depositata il 29 settembre 2015.

La Suprema Corte ha stabilito che non si deve tener conto dell'apporto dei due minori d'età, dato che il loro contributo lavorativo, essendo prospettato come del tutto occasionale e non stabile, è risultato giuridicamente irrilevante al fine di concretizzare i requisiti necessari ai sensi di quanto previsto dall'articolo 31 della legge 590/1965.

Quest’ultima disposizione, infatti, riconduce la qualità di coltivatore diretto all'esercizio diretto ed abituale dell'attività di coltivazione dei fondi e di allevamento di animali e che richiede che la forza lavorativa del nucleo familiare non sia inferiore a un terzo di quella occorrente per la “normale necessità” di coltivazione e di allevamento.

Ricordiamo che questo principio è già stato affermato dalla sesta sezione civile della medesima suprema Corte che con l’ordinanza n. 2019 del 27 gennaio 2011, ha stabilito che il requisito dell'abitualità deve intendersi quale normale ed usuale svolgimento di lavori agricoli, in maniera tale che l'attività agricola venga realizzata in modo stabile e continuativo prevalentemente con lavoro proprio o dei componenti della propria famiglia. 

 





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