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Lo sviluppo delle fonti rinnovabili in agricoltura rappresenta uno dei temi di indubbia centralità nell’odierno quadro politico e normativo nazionale[1]. Un forte impulso a questo argomento si è avuto con l’ingresso nel mercato degli impianti agrivoltaici[2], soluzioni progettuali innovative, in grado, da un lato, di massimizzare la produzione di energia fotovoltaica; dall’altro, di ridurre gli impatti negativi sul territorio[3].
Capita spesso, però, che le Amministrazioni competenti, in sede di autorizzazione, riconducano tali opere agli impianti fotovoltaici collocati in area agricola, in virtù di assimilazioni concettuali poco inclini a valorizzare i tratti distintivi che le contraddistinguono[4].
Va tuttavia ricordato che, sebbene gli impianti agrivoltaici e quelli fotovoltaici producano entrambi energia grazie al sole, questi due moduli hanno caratteristiche differenti.
L’agrivoltaico prevede, infatti, l’installazione di pannelli fotovoltaici sospesi a diversi metri dal suolo, sopra le coltivazioni. Questo sistema, applicato all’agricoltura, produce diversi vantaggi: 1) energia utilizzabile in loco; 2) “protezione” per le coltivazioni coperte dai pannelli; 3) sfruttamento limitato al minimo del suolo rispetto a quello già utilizzato per le culture. La sua peculiarità è individuabile proprio nella capacità di produrre energia pulita e rinnovabile e consentire nel contempo l’attività di coltivazione agricola e pastorale del terreno su cui l’impianto è installato. È, quindi, evidente la sinergia che si crea tra la produzione di energia rinnovabile e le esigenze dell’impresa agricola.