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Il massimo Organo della Giustizia amministrativa ha recentemente condiviso quanto affermato dal T.A.R. del Veneto secondo il quale i magazzini di stoccaggio, sia quelli utilizzati per le materie prime e le scorte, sia quelli per i prodotti finiti, nonché le aree strettamente collegate funzionalmente all’attività imprenditoriale, devono essere considerate superfici strettamente connesse al ciclo produttivo, con riconoscimento di produzione di rifiuti (solo) industriali. Per tale ragione, in quanto aree strettamente e oggettivamente connesse alla produzione, sono soggette al regime giuridico proprio dell’attività principale alla quale ineriscono, con la conseguenza che non possono essere incluse nel concetto di rifiuti urbani o rifiuti ad essi assimilati. Alla luce della nozione di rifiuto speciale ormai accolta dal legislatore (art. 184, comma 3, lett. c), D.Lgs. n. 152 del 2006), infatti, anche il magazzinaggio di prodotti finiti e semilavorati nell’ambito di lavorazioni industriali ben può farsi rientrare nel quadro delle attività sottratte al prelievo TARI (Cons. Stato, Sez. IV Sent. 12 settembre 2023, n. 8276).
La puntualizzazione fa seguito ad una controversia sorta fra talune imprese e un Ente (un Consiglio di Bacino) in merito a quanto riportato nel “Regolamento di gestione rifiuti” circa i criteri attinenti al servizio pubblico di gestione integrata dei rifiuti urbani ed il suo finanziamento attraverso la TARI; tributo avente, nello specifico, natura di corrispettivo.
Prima di entrare nel merito della vertenza è opportuno rammentare che con il D.Lgs. n. 116/2020 sono state apportate significative modifiche al D.Lgs. n. 152/2006, recante disposizioni in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati, di gestione integrata dei rifiuti, nonché di gestione degli imballaggi. Il provvedimento, oltre a operare una rivisitazione delle norme previste dal Testo unico in materia ambientale (TUA), ne ha ampliato i contenuti introducendo anche nuovi criteri circa il trattamento dei rifiuti con particolare riferimento al loro riciclaggio. Fra le novità di particolare rilevo figura quanto disposto dall’art. 183 circa le denominazioni di rifiuto “urbano” e di “rifiuto assimilato agli urbani”. Scompare dal nuovo testo del decreto quella di “rifiuti speciali assimilati agli urbani” che assumono, pertanto, la qualificazione unica di “urbani” allorquando sono “simili per natura e composizione ai rifiuti domestici prodotti dalle attività riportate nell’allegato L-quinquies” (art. 183, comma 1, lett. b-ter)”[1].