Il marchio storico di interesse nazionale

di Gualtiero Roveda, avvocato

Il Legislatore nazionale al fine di proteggere il “Made in Italy”, valorizzare e preservare le aziende storiche italiane, spesso messe a rischio da fenomeni di contraffazione, concorrenza sleale e delocalizzazione, con il c.d. Decreto Crescita[1] ha inteso fornire uno strumento amministrativo volto a sviluppare l’internazionalizzazione dell’economia italiana accrescendo l’attrattiva dei marchi presenti sul mercato nazionale da almeno cinquant’anni.

In particolare, la normativa[2] stabilisce che i titolari o licenziatari esclusivi di marchi d’impresa registrati o con almeno cinquant’anni di uso continuativo, impiegati per la commercializzazione di prodotti o servizi provenienti da un’impresa italiana di eccellenza, storicamente legata al territorio nazionale, hanno il diritto di registrare il marchio nell’apposito Registro. In ragione di tale iscrizione, le imprese possono utilizzare, a fini commerciali e promozionali, il logo “Marchio Storico di interesse nazionale”. Per mezzo di tale normativa si è inteso conferire ai Marchi Storici italiani il riconoscimento del loro valore come patrimonio culturale e industriale del Paese, espressione di talento, competenza, sacrificio e capacità organizzativa.

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Il Marchio Storico ha, infatti, lo scopo di riconoscere l’importanza e il valore che alcune aziende hanno avuto nella storia economica e sociale del Paese. Il suo utilizzo può aiutare a difendere le aziende storiche da pratiche commerciali sleali o imitative e a rafforzare la fiducia dei consumatori in un marchio che rappresenta garanzia di eccellenza e storicità.

Le imprese attualmente iscritte sono 607, di cui “food”[3] 254.

Si fregiano del Marchio Storico di interesse nazionale imprese di rilievo quali Barilla, Campari, Ferrero, Perugina, Pavesi, Murano con il marchio Fatina.

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