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Recenti fatti di cronaca hanno scatenato la reazione dell’opinione pubblica sul lavoro irregolare e sui rischi ad esso correlati. Di riflesso, sono stati emanati provvedimenti “d’urgenza” per cercare di contenere il fenomeno.
Nel nostro Paese, in base ai dati rilevati dall’ISTAT[1] nel periodo 2018-2021, l’economia sommersa ed illegale cresce del 10%. Anche dal punto di vista economico il sommerso rappresenta circa il 10,5% del PIL. Limitando l’analisi al settore del lavoro, l’ISTAT ha stimato che, nel 2021, i lavoratori irregolari sono 2 milioni 990 mila, con un aumento di circa 73 mila unità rispetto al 2020.
Tuttavia, analizzando il fenomeno per settori economici, si è riscontrata una riduzione dell’1,2% del sommerso per agricoltura, costruzioni e commercio, trasporti, alloggio e ristorazione a cui ha fatto da contraltare un aumento negli altri settori.
In particolare, nel settore agricolo, il valore aggiunto dato dal lavoro irregolare è stimato a quasi il 16% del totale del comparto (Fig.1).
Occorre anche segnalare che lo scorso anno l’INAIL ha registrato una riduzione delle denunce di infortunio in agricoltura, nel quinquennio 2017-2021, pari al 20,9%. Tuttavia, se confrontiamo i dati con gli altri Paesi UE, occorre rilevare come ogni anno, in Italia, si verificano mediamente dai 100 ai 150 incidenti mortali, quando, complessivamente, nell’intera area dell’Unione Europea se ne contano circa 500.
Inoltre, un’elevata percentuale degli operatori agricoli ha una malattia cronica invalidante.
Sono numeri preoccupanti, dietro ai quali, spesso, si cela anche lo sfruttamento degli immigrati irregolari oppure di lavoratori italiani che, per necessità, accettano occupazioni in condizioni precarie pur di percepire un reddito.