Agricoltura senza suolo: innovazione sostenibile o rischio per l'identità agricola?

di Luciano Mattarelli, direttore responsabile

Negli ultimi anni, il settore agricolo sta vivendo una trasformazione radicale, alimentata dall'innovazione tecnologica e dalla necessità di affrontare le sfide imposte dai cambiamenti climatici e dalla crescente domanda di cibo. Tra le innovazioni più dirompenti spiccano le tecniche di coltivazione senza suolo, come quella idroponica e quella aeroponica, che stanno trasformando la concezione stessa di "agricoltura".

La domanda che sorge spontanea è: come si integra questo nuovo modello nel quadro legislativo e culturale dell’agricoltura italiana? L'aggiornamento dell'articolo 2135 del codice civile, che definisce l’impresa agricola, ha gettato le basi per una riflessione profonda sul ruolo del "fondo", ossia della terra, nella produzione agricola. Se un tempo l’agricoltura era indissolubilmente legata allo sfruttamento diretto del suolo, oggi le nuove tecnologie hanno messo in discussione questo concetto, aprendo la possibilità di produrre senza il bisogno di terra.

Una rivoluzione silenziosa: l’agricoltura senza fondo

Le tecniche di coltivazione senza suolo, in particolare idroponica e aeroponica, permettono di coltivare piante in ambienti controllati, come serre o capannoni industriali, utilizzando substrati diversi dalla terra o soluzioni nutritive direttamente in acqua. Negli Stati Uniti, così come nei Paesi Bassi, queste tecniche sono già ampiamente diffuse e rappresentano un modello che sta guadagnando terreno anche in Italia.

Tuttavia, l'espansione di queste tecniche apre interrogativi importanti. Se da un lato consentono una produzione più efficiente, eliminando il rischio di perdite legate alle avverse condizioni climatiche o alle malattie, dall'altro rischiano di stravolgere il concetto tradizionale di agricoltura. Si può davvero parlare di agricoltura quando il legame con la terra, inteso come fattore produttivo, viene a mancare? La risposta a questa domanda ha profonde implicazioni, non solo sul piano giuridico, ma anche su quello culturale e sociale.

Il legislatore italiano, con la riforma dell'art. 2135 c.c., sembra aver anticipato il dibattito, introducendo la possibilità di considerare come agricola un'attività che si svolge anche senza un utilizzo diretto del fondo. Ciò che conta, secondo la nuova normativa, è la cura e lo sviluppo di un ciclo biologico o di una parte essenziale dello stesso, sia vegetale che animale. La terra, quindi, diventa un elemento "potenzialmente" utilizzabile, ma non più indispensabile.

Produzione senza suolo e legislazione: una convivenza possibile?

Questa trasformazione legislativa, se da un lato apre la porta a forme di agricoltura più tecnologiche e meno legate alla terra, dall’altro richiede una riflessione critica. Il rischio è di confondere l’attività agricola con quella commerciale/industriale, eliminando quel "rischio biologico" che storicamente distingue l’una dall’altra. In un contesto di produzione completamente artificiale, privo di legame con il territorio e il suo microclima, che fine farebbe la tipicità dei prodotti italiani? La produzione su larga scala in capannoni industriali o in serre ipertecnologiche potrebbe condurre a una standardizzazione delle produzioni, impoverendo la ricchezza legata alle specificità territoriali.

Pertanto, la coltivazione senza fondo potrebbe spezzare quel legame indissolubile tra agricoltura e territorio, un legame che non è solo produttivo, ma anche culturale e storico. Il made in Italy agroalimentare deve gran parte della sua reputazione globale proprio alla stretta connessione tra prodotto e luogo di origine. Pensiamo alle denominazioni di origine protetta (DOP) o alle indicazioni geografiche (IGP), che valorizzano i prodotti agricoli italiani proprio grazie alla loro specificità territoriale.

Un cambiamento fiscale: il nuovo articolo 32 del TUIR

Sul fronte fiscale, il recente intervento del Governo Meloni ha apportato significative modifiche al Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), eliminando il riferimento alla "potenzialità del fondo" nell'articolo 32. Questa novità sembra accogliere le forme più avanzate di produzione vegetale senza suolo, ampliando la definizione di reddito agrario anche a quelle attività che si svolgono in strutture protette, come serre o fabbricati non tradizionalmente agricoli.

Tuttavia, questa apertura solleva questioni complesse. Sebbene il nuovo quadro normativo sembri accogliere positivamente le tecniche di coltivazione senza suolo, restano dubbi sulle implicazioni per le imprese agricole. Ad esempio, sarebbe utile comprendere se le società che operano in edifici non rurali perdano la qualifica di società agricola, con conseguenti ripercussioni sul piano fiscale. È quindi fondamentale, per chi intende avventurarsi in queste nuove forme di produzione, adottare un approccio prudente, almeno fino a quando l’Agenzia delle Entrate non fornirà chiarimenti definitivi sulla questione.

Un futuro ibrido: preservare tradizione e innovazione

Alla luce di queste considerazioni, sembra chiaro che il futuro dell’agricoltura non sarà né completamente industrializzato né rigidamente legato al fondo agricolo. La sfida sarà quella di trovare un equilibrio tra innovazione e tradizione, tra le nuove tecnologie di produzione e il rispetto del legame con il territorio.

Le tecniche di coltivazione senza suolo offrono indubbi vantaggi, soprattutto in termini di efficienza produttiva e sostenibilità. Tuttavia, è altrettanto importante non perdere di vista il valore intrinseco dell’agricoltura tradizionale, che non è solo un’attività economica, ma anche un patrimonio culturale da tutelare.

In conclusione, il settore agricolo si trova di fronte a un bivio: da un lato, l’adozione di nuove tecnologie può aprire opportunità significative, ma dall’altro dobbiamo essere consapevoli del rischio di perdere ciò che rende unica l’agricoltura italiana. La strada da seguire è quella di un cambiamento equilibrato e consapevole, che sappia integrare il meglio delle nuove tecnologie senza compromettere il legame inscindibile tra prodotto, territorio e tradizione.

 





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