Le attività connesse nel settore vitivinicolo

di Vanni Fusconi, avvocato

La legge di orientamento in agricoltura, rubricata “Orientamento e modernizzazione del settore agricolo”, ha riscritto l’art. 2135 c.c., innovando in modo deciso il concetto di attività agricole connesse.

Con la nuova disposizione, infatti, viene abbandonato il concetto di “normalità”[1] e introdotto quello della “prevalenza”, superando così la centralità dell’elemento “terra” che diventa elemento di mero supporto all’attività agricola.[2]L’esercizio dell’attività agricola non è quindi più incompatibile con una dimensione rilevante dell’impresa, con la complessità della sua organizzazione o con la consistenza degli investimenti effettuati[3], poiché assume primaria importanza il concetto di connessione secondo il parametro della prevalenza.

I principi ispiratori della riforma del 2001 trovano piena e completa attuazione nel settore vitivinicolo che più di ogni altro è lo specchio di una agricoltura evoluta con un carattere imprenditoriale. L'imprenditore vitivinicolo, infatti, va oltre la produzione primaria di uve e investe sulla crescita aziendale che non può non passare dal processo di trasformazione delle uve in vino, dalla manipolazione del prodotto (taglio), dal branding, dallo sviluppo, dall’ampliamento e dalla ricerca costante di nuovi asset che possano garantire all’azienda non solo di sopravvivere ma di crescere. In questo processo di crescita l’imprenditore al fine di mantenere il requisito dell’agrarietà non può prescindere dal rispetto del parametro della “prevalenza” così come enunciato nel terzo comma dell’art. 2135 del Codice Civile[4].

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