La riforma fiscale agricola: un’opportunità epocale per un settore in evoluzione

di Luciano Mattarelli, direttore responsabile

Il 3 dicembre scorso il Consiglio del Ministri ha approvato in via definitiva il decreto legislativo recante revisione del regime impositivo dei redditi, in attuazione della Legge delega n. 111/2023.

Il provvedimento introduce rilevanti novità in materia di reddito d’impresa, di lavoro autonomo e di lavoro dipendente, ma ciò che spicca maggiormente è l’intervento sulle norme che disciplinano i redditi dell’impresa agricola. È nostro convincimento che le modifiche introdotte ai regimi reddituali dell’agricoltura abbiano una portata epocale, poiché, per la prima volta in una norma fiscale si consacra la dissociazione tra attività agricola e fondo rustico.

La relazione al provvedimento precisa che lo scopo è quello di allineare la normativa civilistica, vale a dire l’articolo 2135 del Codice Civile che considera attività agricole quelle che “utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine”.

La novità interessa in modo particolare le attività dirette alla produzione di vegetali (ne sono esclusi gli allevamenti), attività che vengono ricondotte nel novero delle attività agricole principali produttive di reddito agrario anche se esercitate fuori dal fondo e mediante i più evoluti sistemi di coltivazione. Si tratta di sistemi di coltivazione, quali, ad esempio, le c.d. vertical farm e le colture idroponiche (comprese le microalghe), in grado di ridurre, tra l’altro, il consumo di acqua, di rendere più salubri i prodotti vegetali, di sottrarre determinate produzioni di carattere vegetale agli effetti distruttivi dei cambiamenti climatici.

Nonostante sia rimasto il riferimento ai “terreni”, per tali non si intenderanno più solo ed esclusivamente i “campi”, ma anche gli spazi fisici artificiali sui quali insiste la produzione vegetale (terreni “virtuali”). Assumeranno, infatti, tale qualificazione anche le particelle “urbane” sui quali insistono i fabbricati entro i quali avviene la produzione di vegetali e, a regime, gli spazi interni ai fabbricati medesimi, ovunque collocati.

L’altra, altrettanto rilevante novità riguarda, invece, tutte le imprese agricole ed ha la finalità di ricomprendere nell’ambito dei redditi agrari anche i proventi ottenuti dallo svolgimento delle attività dirette alla produzione di beni, anche immateriali, rinvenienti dalle attività di coltivazione, allevamento e silvicoltura, che concorrono alla tutela dell’ambiente e alla lotta ai cambiamenti climatici. Si tratta, in sostanza, delle azioni virtuose sotto il profilo ambientale che consentono di ottenere (e cedere) crediti di carbonio mediante la cattura di CO2 e che vengono elevate ad attività tipiche dell’imprenditore agricolo.

Si può quindi affermare che con la riformulazione della nozione di “reddito agrario” l’obiettivo del legislatore lo si deve identificare non tanto (o non solo) in quello di adattamento o aggiornamento di norme fiscali, bensì nella lungimirante aspirazione a ché la politica fiscale, in concorso con altri strumenti, favorisca lo sviluppo sostenibile nelle sue tre dimensioni: economica, sociale ed ecologica.

Si potrebbe mettere in dubbio che incentivare forme di produzione non tradizionali migliori effettivamente la dimensione economica e sociale degli agricoltori, soprattutto quelli di piccole e medie dimensioni, a fronte di analisi di scenario che mostrano una sostanziale riduzione del numero di aziende agricole in quasi tutte le regioni europee e una prevalenza di strategie di adattamento che portano ad un aumento significativo delle dimensioni delle aziende agricole rimanenti. La conseguenza è una maggiore dipendenza dell'Unione dalle importazioni agricole. Il divario potrebbe quindi ampliarsi poiché, da una parte i “piccoli” imprenditori non potrebbero competere nelle moderne tecnologie e, dall’altro, c’è da mettere in conto il possibile svantaggio arrecato alle produzioni tradizionali tipiche dei vari territori.

Si tratta, tuttavia, di scenari improbabili per la semplice ragione che le moderne tecnologie nella produzione di vegetali già da tempo esistono nel contesto europeo.

In un lembo di terra sottratto al mare i sistemi di coltivazione in vertical farm e in ambienti protetti, sviluppati con tecnologie avanzate, non sono certo una novità, tanto che con questi sistemi i Paesi Bassi sono diventati uno dei principali player mondiali nell’agrifood. L’agrifood nel suo complesso produce circa il 10% del PIL del paese. Il settore della produzione agricola e dell’allevamento conta poco più di 50.000 aziende, in prevalenza di piccola dimensione ma altamente meccanizzate e produttive.

Senza voler enfatizzare oltremodo il sistema olandese, tuttavia esso è l’evidente dimostrazione che l’evoluzione tecnologica nei sistemi produttivi non è appannaggio esclusivo o prevalente delle grandi imprese, soprattutto nel settore primario. La novità legislativa va vista piuttosto come una grande opportunità per tutte quelle imprese agricole italiane che non temono l’innovazione.

Sotto il profilo economico, l’annessione al regime fiscale agricolo dell’attività di produzione di vegetali in ambienti artificiali tende a favorire l’adattamento delle imprese ai nuovi scenari che si profilano, in modo da:

  • ridurre i rischi connessi ai cambiamenti climatici;
  • produrre “più con meno”, cioè aumentare la produttività;
  • far crescere il valore aggiunto, intensificando l’utilizzo di tecnologie e di prodotti più sani e più sicuri;
  • favorire la crescita del comparto agroalimentare nazionale anche nei mercati internazionali.

Venendo al dato puramente fiscale, non si può non sottolineare come le nuove disposizioni definiscano in modo estremamente puntuale le modalità di determinazione del reddito delle attività di produzione di vegetali, che saranno distinte tra:

  • coltivazioni in pieno campo;
  • coltivazioni in ambienti protetti che non siano accatastabili come fabbricati (serre fisse o mobili);
  • produzioni ottenute tramite l’utilizzo di immobili oggetto di censimento al catasto dei fabbricati, rientranti nelle categorie catastali C/1, C/2, C/3, C/6, C/7, D/1, D/7, D/8, D/9 e D/10, anche se collocati fuori dal fondo.

Mentre per le prime due fattispecie continua ad applicarsi l’attuale normativa, per l’ultima si dovrà far riferimento ad una superficie agraria virtuale, che verrà determinata da un decreto attuativo. Ciò che è apprezzabile è la volontà di dare immediata attuazione alla riforma. Infatti, la disposizione è applicabile fin dall’entrata in vigore del decreto legislativo poiché, in attesa del provvedimento attuativo, il reddito si determinerà applicando alla superficie della particella sui cui insiste l’immobile la tariffa d’estimo dei terreni più alta in provincia, incrementata del 400 per cento.

Le nuove disposizioni, nel modificare gli articoli 28, 32 e 34 del T.U.I.R., interessano non solo le colture innovative ma anche tutti gli attuali produttori di vegetali che utilizzano serre censite nel catasto fabbricati (generalmente, in categoria D/10). È probabile che questi soggetti siano chiamati a dichiarare un reddito più elevato; tuttavia, il maggior imponibile è ampiamente compensato dalla certezza dei meccanismi che lo determinano e quindi dalla consistente riduzione del rischio fiscale, che con la normativa attuale è tutt’altro da sottovalutare.  Rimane fermo che non vi può essere attività agricola quando non risulti la diretta cura di alcun ciclo biologico o di una fase necessaria dello stesso.

Merita, infine, menzionare un’altra novità di rilievo, vale a dire l’estensione anche alle società di tipo commerciale che optano per la determinazione del reddito con i criteri catastali delle disposizioni contenute nell’articolo 56-bis del T.U.I.R.

Si pone così rimedio all’incomprensibile differenza di trattamento tra persone fisiche e società agricole, conseguendo il duplice risultato di uniformità normativa e semplificazione.

È mia profonda convinzione che il bilancio della riforma fiscale, per quanto riguarda il settore agricolo, sia di gran lunga positivo.

Un sentito ringraziamento al Vice Ministro Prof. Maurizio Leo per l’impegno e la competenza dimostrata nel portare avanti un provvedimento che rappresenta un significativo passo in avanti per il nostro settore. Le innovazioni introdotte offrono strumenti preziosi per promuovere uno sviluppo agricolo più sostenibile e competitivo, allineato alle esigenze del nostro tempo.

Tuttavia, perché queste opportunità possano tradursi in vantaggi concreti per le aziende agricole, è fondamentale che vengano poste le basi per un’adeguata formazione e informazione a beneficio degli imprenditori agricoli. Solo con una piena comprensione delle nuove possibilità, il settore potrà cogliere a pieno i frutti di questa riforma.

Un impegno che ci riguarda tutti, per il futuro della nostra agricoltura e, con essa, del nostro Paese.






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