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Negli ultimi anni, il settore agricolo italiano ha dovuto affrontare sfide sempre più complesse, legate alla crescente concorrenza globale, alla necessità di innovazione tecnologica e ai vincoli imposti dalle normative ambientali e di sostenibilità.
In un contesto caratterizzato dalla predominanza di piccole e medie imprese agricole, spesso a gestione familiare, è emersa con forza la necessità di nuovi modelli organizzativi che consentano agli operatori di collaborare, condividere risorse e competenze, e accedere con maggiore facilità ai mercati e ai finanziamenti pubblici.
Tra le soluzioni introdotte dal legislatore per supportare questa trasformazione, il contratto di rete ha assunto un ruolo centrale. Questo strumento giuridico è stato concepito per favorire forme di cooperazione strutturata tra imprese, senza comprometterne l’autonomia giuridica e patrimoniale[1]. La sua applicazione al settore agricolo ha trovato una disciplina specifica con il D.L. n. 91/2014, che ha adattato l’istituto alle peculiarità del comparto primario, permettendo alle imprese agricole di unire forze e competenze per affrontare le sfide del mercato con maggiore solidità.