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Per esercitare il diritto alla prelazione agraria, il coltivatore diretto deve essere dedito all’effettiva coltivazione del fondo. Non rileva il fatto che tale attività non rappresenti quella principale.
La Cassazione, con ordinanza n.13792/2018 ha avuto modo di precisare che, ai sensi della Legge 590/65, al fine dell’esercizio del diritto di prelazione, sono da considerare coltivatori diretti coloro che abitualmente e direttamente si dedicano all’attività di coltivazione dei fondi e all’allevamento ed al governo del bestiame, purché la forza lavorativa complessiva del nucleo familiare non sia inferiore ad un terzo di quella occorrente per la normale conduzione del fondo e per l’allevamento del bestiame.
A seguito della alienazione di un terreno agricolo confinante con il proprio, veniva disconosciuto il diritto di riscatto ad un coltivatore per il fatto che l’attività, da lui prevalentemente svolta, fosse quella di allevatore e non quella di coltivazione del terreno.
I giudici di legittimità hanno precisato che gli art. 8 e 31 della Legge 590/65 e l’art. 7 della Legge 817/71 prevedono che, per esercitare il diritto di prelazione, il coltivatore diretto debba coltivare il fondo, ma non vi sono preclusioni al fatto che svolga anche altre attività.
Infatti, in base all’articolo 31 non è richiesta una valutazione sulla prevalenza dell’attività agricola rispetto alle altre attività svolte, né in termini reddituali, né in termini di tempo. Pertanto, non rileva il fatto che il coltivatore svolga anche altre attività lavorative, purché l’attività di coltivazione sia esercitata in modo abituale e che la forza lavorativa del nucleo familiare garantisca un apporto non inferiore ad un terzo di quello occorrente alla normale necessità di coltivazione del fondo.
Secondo i giudici, quindi, andava cassata la decisione della Corte d’Appello che aveva disconosciuto il diritto di riscatto al coltivatore confinante in virtù del fatto che svolgesse “esclusivamente, o quanto meno in misura prevalente, l’attività di allevamento di bestiame”.
In particolare, la Cassazione ha applicato letteralmente quanto indicato all’art. 31 della L. 590/65, ovvero, che “sono considerati coltivatori diretti coloro che direttamente ed abitualmente si dedicano alla coltivazione dei fondi ed all'allevamento ed al governo del bestiame, sempreché la complessiva forza lavorativa del nucleo familiare non sia inferiore ad un terzo di quella occorrente per la normale necessità della coltivazione del fondo e per l'allevamento ed il governo del bestiame”.
Anche se nel tempo la normativa sulla prelazione agraria ha subito un’evoluzione, il concetto base affinché si possa attivare tale diritto a favore del coltivatore diretto è rimasto immutato. Solo l’esercizio abituale della coltivazione del terreno giustifica l’intento sociale del legislatore di tutelare, anche indirettamente, la figura del coltivatore diretto e della famiglia coltivatrice, mettendo a loro disposizione uno strumento atto ad ottenere la disponibilità dei terreni necessari al proprio sostentamento.