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L’attività di ippoturismo non può essere considerata un’attività connessa se non esercitata in maniera integrata con l’attività agricola principale. Questo è il principio espresso dall’Agenzia delle Entrate nella risposta ad interpello n. 138 del 27 dicembre 2018.
Il quesito posto all’Agenzia riguardava un’azienda agricola che svolgeva attività principale di coltivazione di foraggi e seminativi e, in tale contesto, organizzava anche gite ed escursioni a cavallo tramite animali di proprietà alimentati con i prodotti dei propri fondi.
Sulla base di tali elementi, l’istante richiedeva all’Agenzia se fosse corretto, per tale attività, applicare la tassazione forfettaria sia ai fini delle imposte dirette (reddito pari al 25% dei corrispettivi registrati ai fini IVA) che per quanto riguardava l’IVA (detrazione forfetizzata nella misura del 50%).
Dall’analisi del testo dell’art. 2135 c.c., l’Agenzia delle Entrate ha evidenziato che due sono i requisiti fondamentali per poter qualificare un’attività come connessa:
Nel caso analizzato, l’Agenzia ha affermato che l’attività di ippoturismo svolta dall’istante generava reddito d’impresa per due diverse ragioni. Da un lato, infatti, sulla base della visura camerale, l’attività di turismo rurale era registrata come principale, mente quella di coltivazione agricola era solo un’attività secondaria.
In seconda battuta, alla luce delle prove fornite, le attrezzature utilizzate per l’attività turistica erano sostanzialmente diverse da quelle impiegate per la coltivazione del fondo: pertanto, il requisito della normalità necessario per perfezionare il requisito oggettivo era da ritenersi insoddisfatto.
L’interpretazione offerta dall’Agenzia è condivisibile, poiché viene applicato in maniera rigorosa il principio per cui un’attività connessa non può essere definita tale senza che sia secondaria, accessoria e strumentale all’attività agricola principale di coltivazione del fondo, allevamento di animali o silvicoltura.