Articoli
Tutti gli aggiornamenti, gli approfondimenti e i casi pratici analizzati e realizzati dai nostri esperti in materia agricola, fiscale, economica e del lavoro.
Con il contratto di soccida, il legislatore del 1942 ha sostanzialmente inteso tipicizzare una forma contrattuale già molto diffusa nell’Italia rurale dell’epoca e consistente nello svolgimento in forma associata dell’attività agricola di allevamento finalizzata alla ripartizione a titolo originario degli accrescimenti e degli altri prodotti che ne derivano.
Un contratto dalle origini antiche, di fondamentale importanza per il settore dell’allevamento, ma troppo spesso dimenticato dal legislatore e dalla stessa Agenzia delle Entrate, avara di chiarimenti ministeriali e poco attenta nei controlli fiscali.
Un contratto, dunque, poco conosciuto dai verificatori e la sostanziale assenza di controlli ha portato gli allevatori a consolidare nei decenni comportamenti non del tutto in linea con la normativa, trasformandosi, poi, in veri e propri abusi.
Al giorno d’oggi, però, le cose sono cambiate, l’attenzione per il settore agricolo è aumentata e ha portato i funzionari dell’Amministrazione ad essere sempre più preparati e a contestare violazioni che fino a poco tempo fa era impensabile fossero rilevate dagli Uffici.
Ma quali sono le principali criticità che stanno emergendo dai verbali dell’Agenzia e della Guardia di Finanza?
Il contratto di soccida è un contratto associativo che consente alle parti, il soccidante e il soccidario per l’appunto, di ripartire gli accrescimenti e i prodotti derivanti dall’allevamento a titolo originario ma, affinché ciò possa accadere, è essenziale che entrambe le parti partecipino al cosiddetto rischio d’impresa, compresa l’ipotesi di non percepire alcun beneficio economico dall’attività svolta.
Ecco allora che la remunerazione del soccidario (sia essa in denaro nel caso di soccida monetizzata o in termini di attribuzione di accrescimenti) non deve essere predefinita, ma legata indissolubilmente ad indici che colleghino la remunerazione al buon esito dell’attività di allevamento, quali ad esempio la quantità di mangime impiegato, la mortalità degli animali ecc.
Se ciò non avvenisse, in presenza di un compenso fisso e predeterminato, sarebbe semplice per l’Agenzia riqualificare il rapporto alla stregua di un contratto di appalto, con conseguenze drammatiche per entrambe le parti che correrebbero il rischio concreto di vedersi riqualificare i redditi derivanti dalla soccida quali redditi di impresa.
L’evoluzione del mercato dell’allevamento ha portato all’introduzione di contratti di filiera che spesso condizionano anche le scelte del soccidario. Egli, infatti, pur avendo sottoscritto un contratto di soccida con ripartizione degli accrescimenti, quindi non monetizzata, potrebbe poi essere vincolato alla cessione del prodotto allo stesso soccidante.
Questa modalità di operare è stata attenzionata dall’Agenzia delle Entrate che, in taluni casi, ed in presenza di una gestione contabile e contrattuale non proprio lineare, ha riqualificato il contratto come soccida monetizzata disconoscendo in capo al soccidario il diritto alla detrazione dell’IVA.
Al fine di superare indenni questo tipo di controlli è necessario disciplinare il rapporto contrattuale in forma precisa e puntuale e soprattutto prestare particolare attenzione alla gestione della fatturazione degli animali che vengono venduti dal soccidario al soccidante. Infatti, molto spesso, la prassi ormai consolidata nella gestione degli allevamenti travalica quelle che sono le regole della fatturazione, primo indice di una gestione fiscalmente non corretta della soccida.
Ecco quindi che per poter legittimamente posticipare il momento della fatturazione all’effettiva determinazione dei capi spettanti al soccidario, potrebbe essere opportuno applicare le regole dei contratti di vendita con prezzo da determinare.
Cosa ancora migliore sarebbe creare le condizioni affinché il soccidario venda direttamente il frutto della sua attività (accrescimento di animali) ad un soggetto terzo con il quale stabilire accordi commerciali separati da quelli definiti con il soccidante.
Un'ulteriore problematica che negli ultimi anni è stata oggetto di attenzioni da parte dell’Agenzia è quella relativa all’obbligo, in capo al soccidante, di attribuire una quota del proprio reddito agrario al soccidario.
Questa tesi, propria di alcuni uffici dell’Amministrazione Finanziaria, a nostro parere non può essere ritenuta condivisibile, poiché il soccidario può ben coprire gli animali di propria spettanza con il reddito agrario derivante dai propri terreni, essendo egli prestatore di lavoro che è una componente del reddito agrario.
Tuttavia, anche in questo caso, l’unica soluzione per evitare contestazioni sembra essere quella di prestare particolare attenzione alle clausole inserite nel contratto di soccida.
La registrazione del contratto di soccida non è notoriamente obbligatoria, tuttavia anche da questo punto di vista gli operatori del settore dovranno cambiare le proprie abitudini: alcune regioni (ad esempio l’Emilia Romagna), infatti, ne hanno reso obbligatoria la registrazione per l’ottenimento del gasolio agevolato tramite l’ufficio UMA.
Un’ulteriore problematica al vaglio dell’Amministrazione, e troppo spesso sottovalutata dagli operatori del settore, è quella relativa all’applicazione del regime speciale IVA al soccidante che non conduce anche allevamenti in proprio.
Infatti, l’amministrazione finanziaria, con la risoluzione ministeriale n. 504929 del 7 dicembre 1973, ha precisato che nel caso in cui il soccidante operi esclusivamente mediante contratti associativi e non disponga di almeno un allevamento in proprio, anche di modeste dimensioni, non può usufruire del regime speciale Iva.
Tale orientamento a nostro parere non è condivisibile, poiché nel contratto di soccida l’attività di impresa viene svolta in forma associata da entrambi i contraenti e ciò è di per sé sufficiente a legittimare l’applicazione del regime speciale IVA in capo al soccidante.
Pertanto, ogni singola problematica tra quelle appena evidenziate andrà valutata caso per caso, dato che gli accordi tra le parti e le dinamiche commerciali solo raramente sono esattamente sovrapponibili e, purtroppo, pratiche storicamente consolidate tendono a celare insidie nei confronti di coloro che, con superficialità, utilizzano questa forma contrattuale.