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Le imprese agricole che svolgono attività orto-florovivaistiche hanno la necessità di garantire ai propri clienti un’ampia gamma di prodotti, non sempre frutto della propria attività di coltivazione, manipolazione e trasformazione.
Come indicato nella nostra circolare 141/2019, l’impresa orto-florovivaistica, dal punto di vista fiscale e civilistico, può fare rientrare tra le attività agricole anche l’acquisto di piante non coltivate direttamente, purché oggetto di attività di manipolazione e nel rispetto della prevalenza dei prodotti coltivati in proprio. Al contrario, vi sono delle attività di mera commercializzazione che, quanto meno per gli aspetti fiscali, sono da classificare univocamente come attività commerciali.
Infatti, l’attività di commercializzazione è contemplata al terzo comma dell’articolo 2135 del Codice civile fra le attività agricole connesse, ma la stessa non è considerata tale ai fini fiscali.
Anche sotto il profilo autorizzativo, la commercializzazione di prodotti di terzi è ammessa ai fini della vendita diretta.
L’art. 4 del D.Lgs. n. 228/2001 prevede che gli imprenditori agricoli, singoli o associati, iscritti nel registro delle imprese possono vendere direttamente al dettaglio, in tutto il territorio della Repubblica, i prodotti provenienti in misura prevalente dalle rispettive aziende, osservate le disposizioni vigenti in materia di igiene e sanità.
Inoltre, il successivo comma 1-bis, introdotto recentemente dall’art. 1, comma 700 L. n. 145/2018, indica che l’imprenditore agricolo può altresì “vendere direttamente al dettaglio in tutto il territorio della Repubblica i prodotti agricoli e alimentari, appartenenti ad uno o più comparti agronomici diversi da quelli dei prodotti della propria azienda, purché direttamente acquistati da altri imprenditori agricoli. Il fatturato derivante dalla vendita dei prodotti provenienti dalle rispettive aziende deve essere prevalente rispetto al fatturato proveniente dal totale dei prodotti acquistati da altri imprenditori agricoli”.
Infine, il comma 8 dello stesso articolo indica che “qualora l'ammontare dei ricavi derivanti dalla vendita dei prodotti non provenienti dalle rispettive aziende nell'anno solare precedente sia superiore a 160.000 euro per gli imprenditori individuali ovvero a 4 milioni di euro per le società, si applicano le disposizioni del citato decreto legislativo n. 114 del 1998”.
La disciplina della vendita diretta, così come originariamente formulata dal legislatore, non forniva alcuna indicazione circa la natura, la qualità o l’origine dei prodotti che le aziende agricole potevano commercializzare. Gli unici limiti indicati al comma 1 e al comma 8 dell’art. 4, tutt’ora vigenti, sono esclusivamente di natura quantitativa:
Queste scarne indicazioni hanno dato origine a diverse interpretazioni:
Lo stesso Ministero dello sviluppo economico, nella Risoluzione n. 73834/2009 aveva ammesso la possibilità per le imprese agricole di vendere anche prodotti alimentari che risultino oggetto di un ciclo industriale di trasformazione.
Successivamente sullo stesso tema è intervenuto anche il Consiglio di Stato con la Sentenza n. 131 del 18 gennaio 2016 in cui, esprimendosi sul caso di un’azienda florovivaistica che vendeva barbecue, vasi in ceramica, graticole, sedie ed altri articoli d’arredo per giardini, ha ammesso che l’imprenditore agricolo può vendere anche beni non derivanti dalle attività agricole ma questi devono avere una “stretta connessione” con l’attività agricola esercitata. Pertanto, nell’ambito delle attività orto-florovivaistiche, si possono commercializzare vasi, strumenti di irrigazione, concimi, insetticidi, strumenti per le operazioni agronomiche quali zappe, rastrelli o vanghe escludendo però quei beni che solo lontanamente possono essere ricondotti all’attività orto-florovivaistica e di cura dei giardini come barbecue, casette in legno o arredo da giardino.
Con l’introduzione del nuovo comma 1-bis, in vigore dal 1° gennaio 2019, occorre verificare come la disciplina della vendita diretta sia mutata per quanto riguarda la cessione dei prodotti di terzi in base al nuovo assetto normativo fornito dal combinato disposto dei commi 1, 1-bis, 5 e 8 dell’art. 4 del D.Lgs. 228/2001.
L’attuale normativa permette all’imprenditore agricolo di commercializzare al dettaglio:
Qualora l’impresa orto-florovivaistica intenda procedere alla mera commercializzazione di beni di terzi o di piante prodotte da terzi per le quali non sia prevista alcuna operazione colturale di natura agricola, tale attività sarà da considerare commerciale ai fini fiscali.
Se l’attività è esercitata con la stessa posizione fiscale (P.IVA) dell’impresa agricola si dovrà procedere alla tenuta di una contabilità separata. Il regime IVA dovrà essere quello normale ed il reddito sarà determinato in maniera analitica (a costi e ricavi) ex art. 56 del TUIR.
Si dovranno inoltre verificare i titoli abilitativi richiesti dai regolamenti comunali per lo svolgimento di tali attività e tutti gli adempimenti ad esse connessi (SUAP, ASUL, VVFF, ecc.).
Recentemente, l’INPS con la Circolare 76/2019 ha fornito alcune precisazioni in relazione alle attività di vendita diretta alla luce delle novità introdotte dal nuovo comma 1-bis dell’art. 4 del D.Lgs. n. 228/2001.
Secondo quanto riportato nella summenzionata circolare, al fine di rientrare nell’ambito previdenziale agricolo, sarebbe necessario che tutti i prodotti agricoli acquistati da terzi provenissero da altri imprenditori agricoli.
Non riteniamo condivisibili i chiarimenti espressi dall’INPS su questo aspetto, poiché, come stabilito dal comma 1-bis dell’art. 4 del D.Lgs. 228/200, aggiunto dalla legge di stabilità 2019, tale limitazione riguarda esclusivamente i prodotti agricoli acquistati da terzi che non appartengono al medesimo comparto agronomico di quelli derivanti dallo svolgimento dell’attività agricola principale.
In buona sostanza, al fine di essere maggiormente chiari sull’argomento, riteniamo che l’acquisto di prodotti appartenenti al medesimo comparto agronomico effettuati presso soggetti diversi dagli imprenditori agricoli, purché nel rispetto del requisito della prevalenza, non possano determinare la fuoriuscita dall’inquadramento previdenziale agricolo.
Ad esempio, se produco albicocche posso acquistare banane ed ananas da un commerciante (stesso settore agronomico). Invece, se produco frutta e voglio vendere anche il vino o l'olio devo comprarli da un’ altro produttore agricolo.
Con riferimento alla necessità che i prodotti siano acquistati direttamente dai produttori agricoli, l’INPS chiarisce che tale requisito deve ritenersi rispettato quando non sia presente alcuna attività di intermediazione commerciale tra produttore e venditore. Pertanto, al fine di rispettare tale parametro, è necessario che il trasferimento dei prodotti da destinare alla vendita al dettaglio avvenga direttamente tra due imprenditori agricoli.
Interessante è anche la precisazione effettuata in merito al secondo requisito fissato dalla legge. Ai fini INPS, infatti, la valutazione della prevalenza deve essere operata in relazione al solo fatturato e non alla quantità di prodotti acquistati da terzi.
Pertanto, nel caso in cui quest’ultima sia maggiore della quantità di prodotti propri destinati alla vendita, la condizione della prevalenza risulta comunque rispettata se il fatturato derivante dalla vendita dei propri prodotti è maggiore rispetto a quello ottenuto con la vendita dei prodotti acquistati da altri imprenditori agricoli.
Per quelle attività che svolgono esclusivamente o prevalentemente attività di natura commerciale, gli addetti dovranno essere invece inquadrati nel settore del commercio.
Riteniamo opportuno precisare che alcune Regioni, al fine della certificazione attestante il titolo di imprenditore agricolo professionale (IAP), non riconoscono tale qualifica alle società semplici che vendono anche prodotti agricoli di terzi in quanto ritengono decaduto il presupposto dell’esercizio esclusivo dell’attività agricola.
Ovviamente, anche in questo caso, non concordiamo con la suddetta interpretazione in quanto riteniamo che la norma autorizzativa alla vendita diretta (art. 4 D.Lgs 228/2001) sia ampiamente ricompresa fra le attività di cui all’art. 2135 del Codice civile.