L’articolo 32 del TUIR precisa che “Il reddito agrario è costituito dalla parte del reddito medio ordinario dei terreni imputabile al capitale d'esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati, nei limiti della potenzialità del terreno, nell'esercizio di attività agricole su di esso” e si considera attività agricola “l'allevamento di animali con mangimi ottenibili per almeno un quarto dal terreno”.
Tale regime di determinazione “catastale” del reddito, riservato in origine alle ditte individuali ed alle società semplici, continua a rappresentare per tali soggetti il regime naturale di imposizione.
Successivamente il Legislatore ha esteso anche alle altre società di persone, alle società a responsabilità limitata e le società cooperative che rivestono la qualifica di società agricola la possibilità di determinare il proprio reddito sulla base delle tariffe d’estimo.
L’estensione del regime impositivo concessa del Legislatore anche a queste società rappresenta però, per tali soggetti, un regime opzionale (articolo 1, comma 1093, legge n. 296/2006) e non modifica comunque la natura di reddito d’impresa in capo a questi soggetti.
Sulla base di un decreto ministeriale vengono definiti i parametri per stabilire il numero dei capi allevabili in funzione delle superfici e delle colture praticate. Qualora applicando tali parametri il terreno non possa garantire almeno 1/4 dei mangimi necessari al mantenimento degli animali, il legislatore fiscale ha istituito un ulteriore regime naturale di determinazione del reddito riservato esclusivamente alle ditte individuali, alle società semplici ed agli enti non commerciali. In base a tale regime (art. 56, comma 5 del TUIR) il reddito dei capi eccedenti le potenzialità del terreno si determina applicando un coefficiente di reddittività.
In via facoltativa, anche tale regime prevede la possibilità per il contribuente di optare, in sede di dichiarazione dei redditi, per la determinazione analitica del reddito.
Il registro di carico-scarico
Come si può facilmente comprendere, uno degli elementi fondamentali per determinare il reddito di allevamento è dato dal numero e la tipologia dei capi allevati.
Al tal fine il legislatore con l’art. 18-bis del D.P.R. n. 600/1973 ha istituito l’obbligo di tenuta del registro di carico-scarico allevamenti. Le modalità di tenuta di questo registro sono state rappresentate nella Circolare ministeriale n. 150/1978 e divergono da quelle previste per la tenuta dei registri sanitari, anch’essi obbligatori, ma per altre finalità. Tale registro ha come unico scopo quello di ricostruire il numero complessivo di animali allevati nel corso del periodo d’imposta, distinto sulla base delle categorie definite dal citato Decreto ministeriale (da ultimo quello del 15/03/2019).
Il registro di carico-scarico rappresenta una scrittura contabile esclusiva, cosicché, ai fini delle imposte dirette, se l’impresa di allevamento determina il reddito forfetariamente, non deve tenere alcuna altra scrittura contabile e, anche se l’ammontare dei ricavi risulta superiore a euro 700.000, non c’è l’obbligo della tenuta della contabilità ordinaria.
Il registro di carico-scarico previsto dall’art. 18-bis rappresenta una scrittura obbligatoria per le ditte individuali e le società semplici solo dal momento in cui i capi allevati superano i limiti previsti dall’art. 32 del TUIR mentre, in base all’articolo 2, comma 4 del D.L. n.90/1990, risulta sempre obbligatorio per Snc, Sas, Srl, Spa, Sapa e cooperative che svolgono attività di allevamento.
L’importanza della corretta tenuta del registro di carico-scarico è divenuta ulteriormente centrale con l’esclusione dall’IRAP delle attività agricole svolte entro i limiti dell’art. 32 del TUIR, introdotta dalla Legge n. 208/2015 a partire dal periodo d’imposta 2016.
Infatti, come ribadito dall’Agenzia delle Entrate nella Risoluzione n. 93/E del 18 luglio 2017, in caso di svolgimento di attività di allevamento eccedentario, il valore della produzione da escludere dall’IRAP è calcolata in proporzione al numero dei capi allevati entro i limiti di cui all’art. 32 del TUIR rispetto al numero complessivo dei capi allevati.
Mancata tenuta del registro di carico scarico
Secondo un orientamento ormai consolidato della giurisprudenza, confermato di recente anche con l’ordinanza della Cassazione n. 20575/2019, la mancata tenuta del registro di carico-scarico di cui all’art. 18-bis del D.P.R. n. 600/1973 rende “inattendibile” la contabilità con la conseguente possibilità di determinare il reddito con il metodo induttivo ex art. 39, comma 2 del D.P.R. n. 600/1973.
Tale norma prevede che l’Ufficio delle imposte determina il reddito d’impresa sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze di bilancio e dalle scritture contabili in quanto inesistenti e può avvalersi anche di presunzioni prive di gravità, precisione e concordanza.
Gli ermellini nell’ordinanza n. 20575/2019 hanno infatti affermato che “l'imprenditore ha l'obbligo - la cui inottemperanza determina l'inattendibilità della contabilità aziendale e pone a carico del contribuente l'onere di provare i fatti impeditivi o estintivi dell'accertamento effettuato dall'Ufficio - di tenere il registro di carico e scarico degli animali allevati, distintamente per specie e ciclo di allevamento, con l'indicazione degli incrementi e decrementi verificatisi per qualsiasi carico nel periodo d'imposta (Cass. 14 febbraio 2014, n. 3487).
In sostanza, il registro di carico-scarico è l’unico documento in grado di fornire prova da parte del contribuente del numero di animali allevati ed è in grado quindi di tutelarlo ai fini della giusta applicazione delle norme fiscali.
Come già affermato dalla Cassazione con la sentenza n. 13476 del 2001 tale registro ha una funzione essenziale ai fini della regolarità (non solo formale) e complessiva attendibilità della contabilità della tipica impresa di allevamento, ne consegue che sia sempre preferibile provvedere alla tenuta del registro di carico-scarico.
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