Il tema ambientale è all’ordine del giorno anche per la giurisprudenza. Una delle questioni aperte è la qualificazione della cosiddetta TARI corrispettiva il cui destino è strettamente collegato a quello della qualificazione della TIA2.
Il problema
La questione sorge ai tempi della TIA e, in particolare, alla successiva fase della c.d. TIA2 con cui emerge l’intento del Legislatore di incentivare i comportamenti virtuosi di cittadini e imprese con la determinazione di una tariffa direttamente collegata ai servizi effettivamente richiesti ed ai rifiuti prodotti. Ma al contempo il Legislatore ha dovuto garantire le coperture dei costi per i servizi rivolti alla collettività, come ad esempio la pulizia delle strade, nonché costi generali per la gestione dei rifiuti.
Con queste premesse il confine tra tributo e corrispettivo non è semplice da delineare.
La Corte Costituzionale nella decisione n. 238/2009, con riferimento alla TIA1, aveva indicato le ragioni per le quali la tassa sui rifiuti avesse una natura tributaria, ovvero:
- l’obbligatorietà;
- la mancanza di un rapporto sinallagmatico tra le parti;
- il collegamento del prelievo ad una pubblica spesa.
Successivamente la Cassazione con la Sentenza n. 16332 del 2018 aveva rilevato la natura privatistica e non tributaria della c.d. TIA2. Ciò anche a fronte dell’interpretazione autentica offerta dal Legislatore al comma 33, art. 14 della Legge n. 78/2010 in cui è dichiarato che “la natura della tariffa […] non è tributaria. Le controversie relative alla predetta tariffa, sorte successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto, rientrano nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria”.
I principi espressi nella sentenza 16332/2018 ed il fatto che la Corte Costituzionale si fosse espressa sulla precedente TIA1 hanno dato origine ad un orientamento giurisprudenziale favorevole all’inquadramento privatistico della c.d. TIA2, i cui riflessi possono quindi riverberarsi sulla ”TARI puntuale”.
La questione riaperta dalla Cassazione
Ora, la Cassazione con l’ordinanza n. 23949/2019 rinvia il problema alle Sezioni Unite in quanto, secondo i giudici, le precedenti decisioni della stessa Corte non si sono soffermate su elementi sostanziali della prestazione oggetto dell’inquadramento.
L’impostazione della TIA2 e della TARI, nel prevedere l’obbligo del pagamento come diretta conseguenza dell’effettiva fruizione del servizio, commisurato alla quantità e qualità dei rifiuti prodotti farebbe propendere per un inquadramento non tributario della “tariffa”.
Secondo i giudici, in verità questa impostazione è solo apparente in quanto ancorata ad una produzione ipotetica e potenziale di rifiuti, e non come vorrebbe la natura corrispettiva legata all’effettiva produzione degli stessi. Si prenda ad esempio il caso degli alloggi sfitti per i quali sono previste delle riduzioni ai fini TARI ma non delle esenzioni.
Mancherebbe quindi un nesso diretto tra la prestazione ed il corrispettivo. In altre parole, non vi sarebbe uno scambio in cui il valore ricevuto dal prestatore rappresenta un controvalore del servizio reso al destinatario così come indicato dalla Corte Costituzionale per la TIA1 (mancanza del rapporto sinallagmatico).
Le conseguenze
La distinzione tra tributo o corrispettivo non è di poco conto, in particolare per i privati e per i soggetti che non detraggono l’IVA, in quanto si trovano di fatto a sostenere un maggior costo.
Inoltre, significherebbe che per il passato nei comuni in cui è stata applicata la tariffa corrispettiva (TIA2) l’IVA corrisposta al fornitore del servizio non era dovuta.
Ciò mette a rischio anche le previsioni di molte amministrazioni locali, in quanto le competenze relative all’approvazione della tariffa cambiano a seconda dell’inquadramento “tributario” o “corrispettivo”.
Pertanto, se le Sezioni Unite stabiliranno la natura tributaria della “TARI puntuale” le tariffe approvate dalle ATO (non dai comuni) saranno illegittime.
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