Se il contribuente ha erroneamente emesso le fatture, pensando di avere i requisiti per applicare il regime forfettario, non può recuperare le ritenute d’acconto esposte nei documenti emessi per sanare l’errore, qualora il committente rifiuti tali documenti. In tal caso, anche la mancata riscossione del corrispettivo non ha rilievo ai fini del versamento dell’IVA.
Con le risposte n. 499 e 500 pubblicate ieri sul sito dell’Agenzia delle Entrate è stata (ovviamente) confermata la necessità di sanare l’errore commesso in sede di invio dei documenti, ma i riflessi determinati dall’errore sanato restato a carico del contribuente se il proprio cliente non intende corrispondere la differenza dovuta.
Il caso
I due interpelli riportano il caso di contribuenti che, nei primi mesi del 2019, hanno ritenuto di poter accedere al “nuovo” regime forfettario di cui all’art. 1, commi da 54 a 89, della Legge n. 190/2014. Per tale ragione essi hanno provveduto ad emettere alcune fatture applicando tale regime, pertanto senza l’applicazione dell’IVA e delle ritenute d’acconto. Tali fatture sono state regolarmente saldate dai clienti.
Successivamente, rendendosi conto di non disporre dei necessari requisiti per l’accesso al regime forfettario, hanno provveduto a sanare l’errore tramite l’emissione delle note di variazione (ai sensi dell’art. 26, comma 2 del D.P.R. n. 633/1972), a storno completo delle fatture originariamente trasmesse, e conseguente emissione delle fatture elettroniche comprensive di IVA e con l’esposizione delle ritenute.
I clienti però hanno rifiutato gli ulteriori documenti trasmessi, pertanto il contribuente, dovendo versare l’IVA sulle fatture emesse, chiede conferma all’Agenzia su come procedere. Allo stesso tempo, il contribuente chiede anche come dover procedere per quanto riguarda il credito relativo alle ritenute esposte nelle nuove fatture emesse, non pagate dai clienti.
La risposta dell’Agenzia delle Entrate
L’Agenzia ha confermato che l’errore commesso può essere sanato ai sensi del citato art. 26 con due modalità:
- emettendo e trasmettendo al committente note di variazione in aumento, al fine di integrare le fatture originarie, con l’addebito a titolo di rivalsa dell’IVA da versare all’Erario ed esponendo la ritenuta d’acconto;
- emettendo e trasmettendo al committente note di variazione, a storno completo delle fatture già trasmesse, emettendo nuove fatture a completa sostituzione di quelle precedenti. Quindi, anche in tal caso, attraverso l’addebito dell’IVA a titolo di rivalsa ed esponendo le relative ritenute d’acconto.
Ciò premesso, l’Agenzia conferma che il rifiuto delle fatture da parte dei committenti, ed il conseguente mancato pagamento della differenza dovuta, non rappresenta una giustificazione per non procedere al pagamento dell’IVA su dette operazioni.
Il soggetto passivo che effettua una cessione di beni oppure una prestazione di servizi deve procedere all’addebito dell’imposta in fattura a titolo di rivalsa ai sensi dell’art. 19 del Decreto IVA, consentendo in questo modo all’acquirente o al committente di detrarre l’IVA.
Solo nell’ipotesi in cui l’IVA versata all’Erario non sia mai riscossa, è concesso recuperarla allorquando venga attivata una procedura esecutiva e la stessa sia rimasta infruttuosa.
Per quanto riguarda le ritenute, l’Agenzia ha richiamato il chiarimento offerto dalla Cassazione nella Sentenza n. 10378/2019 "nel caso in cui il sostituto ometta di versare le somme, per le quali ha però operato le ritenute d'acconto, il sostituito non è tenuto in solido in sede di riscossione, atteso che la responsabilità solidale prevista dall'art. 35 D.P.R. n. 602 cit. è espressamente condizionata alla circostanza che non siano state effettuate le ritenute".
Nel caso di specie, l’Agenzia ha ritenuto che il contribuente, non avendo effettivamente subito la trattenuta in quanto il committente ha corrisposto il saldo della fattura, non possa scomputare dall’IRPEF la relativa ritenuta a titolo d’acconto esposta sul nuovo documento.
Come indicato nella Risoluzione 68/E/2009, il contribuente, anche in assenza della relativa certificazione rilasciata dal sostituto, può scomputare dalla propria imposta sul reddito le ritenute d’acconto per redditi di lavoro autonomo o d’impresa a condizione che “sia in grado di dimostrare l’effettivo assoggettamento a ritenuta tramite documentazione bancaria o comunque idonea a dimostrare l’effettivo importo percepito.
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