Il contrasto al lavoro nero è da sempre uno degli obiettivi oggetto delle attenzioni del legislatore. In questi anni abbiamo assistito all’introduzione di diverse misure volte al contrasto del lavoro nero e all’inasprimento del correlato quadro sanzionatorio.
Ma il lavoro nero è anche indice di un’attività economia sommersa, pertanto può anche legittimare l’Amministrazione finanziaria all’accertamento induttivo del reddito.
L’accertamento induttivo e il lavoro nero
L’articolo 39 del D.P.R. n. 600/1973 prevede al comma 1, lettera d) che l’Ufficio può, sulla base dei dati e delle notizie raccolti, presumere l’esistenza di attività non dichiarate sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti.
Pertanto, l’utilizzo di lavoratori in nero può legittimare l’amministrazione finanziaria ad effettuare una ricostruzione presuntiva del reddito d’impresa attraverso la rideterminazione, con metodo induttivo, dei maggiori ricavi, corrispondenti al costo del personale non contabilizzato.
Il caso
Recentemente la Corte di Cassazione, nella Sentenza n. 30792/2019, ha trattato il caso di un’azienda artigiana che contestava l’avviso di accertamento relativo a IRES, IVA e IRAP per il fatto che l’Amministrazione aveva applicato il metodo induttivo di cui alla suddetta lett. d), desumendo l’esistenza di maggiori ricavi non dichiarati dalla presenza di lavoratori in nero. L’azienda sosteneva che la congruità del reddito dichiarato agli studi di settore, rappresentasse comunque un indice di affidabilità delle scritture contrabile e, conseguentemente, dei redditi dichiarati. Inoltre, l’accertamento dell’impiego di lavoratori in nero non era a suo dire certo, ma frutto di presunzioni.
L’amministrazione, dal canto suo, sosteneva, invece, che l’accertamento induttivo fosse comunque consentito in quanto, come nel caso in esame, pur in presenza di una contabilità formalmente regolare, la verifica di elementi che facevano presumere l’utilizzo diffuso di personale in nero era un elemento sufficiente.
L’amministrazione, a cui compete in questi casi l’onere della prova, nel caso di specie aveva rilevato la presenza di numerose bolle di consegna firmate da soggetti non regolarmente assunti.
La sentenza
I Giudici di legittimità hanno affermato l’orientamento consolidato della Cassazione secondo il quale, “in tema di accertamento induttivo del reddito d’impresa, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d) D.P.R. n. 600 del 1973, il convincimento del giudice in ordine alla sussistenza di maggiori ricavi non dichiarati da un’impresa commerciale può fondarsi anche su una sola presunzione semplice, purché grave e precisa” (Rif. Cass. Civile n. 656/2014; n. 30803/2017; n. 3276/2018). La Corte ha quindi ritenuto idonea la presunzione della presenza di lavoratori in nero dalla presenza di plurime bolle di consegna da parte di soggetti non indicati nel libro matricola dell’impresa e dalla contestuale incongruità del personale dichiarato rispetto alle prestazioni fatturate.
Secondo i giudici di Piazza Cavour, il metodo di accertamento posto in essere dall’Agenzia, sorretto da motivazione adeguata e logicamente non contraddittoria, non è sindacabile in sedi di giudizio di legittimità.
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