La regola generale prevede che una società agricola non possa essere dichiarata fallita, al contrario di un’impresa svolgente attività commerciale che, come tale, può sempre essere soggetta a procedura fallimentare.
Gli imprenditori che svolgono esclusivamente attività agricola restano quindi esclusi dalla disciplina sul fallimento.
Si tratta di un regime speciale riconosciuto a favore dell’imprenditore agricolo direttamente dall’art. 1 della Legge Fallimentare e che non subirà alcuna modifica, nemmeno a seguito dell’entrata in vigore, prevista per il 20 agosto 2020, del nuovo Codice della crisi di impresa e di insolvenza.
Nella prassi può tuttavia capitare che un’impresa agricola svolga attività commerciale, seppur per un limitato periodo. In quest’ipotesi ci si interroga sulla possibilità o meno di applicare la procedura fallimentare.
Per rispondere al quesito sopra avanzato, occorre preliminarmente ripercorrere la definizione di imprenditore agricolo di cui all’art. 2135 c.c. Secondo tale disposizione normativa, è imprenditore agricolo colui che esercita in modo prevalente l’attività di coltivazione del fondo, di selvicoltura o di allevamento di animali o le attività connesse di manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione di prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali.
Vengono altresì considerate attività connesse quelle dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse di proprietà dell’azienda e da questa impiegate nell’esercizio dell’attività agricola.
Con specifico riferimento alle attività connesse, le stesse debbono essere esercitate dallo stesso imprenditore agricolo che svolge l’attività principale di coltivazione del fondo, di selvicoltura o di allevamento di animali, e devono essere in connessione con quest’ultima.
Occorre inoltre il rispetto del requisito della prevalenza, che impone l’esercizio delle attività connesse facendo uso prevalentemente di prodotti agricoli derivanti dall’attività principale. Questo non significa che all’imprenditore agricolo sia vietato acquistare prodotti da terzi, ma questi debbono necessariamente essere in numero inferiore rispetto a quelli provenienti dalla sua azienda agricola.
Al fine della determinazione del requisito della prevalenza si applicano alternativamente i seguenti criteri:
- criterio quantitativo, nel caso di prodotti agricoli, acquistati da terzi, appartenenti alla stessa classe merceologica di quelli dell’azienda agricola, il confronto è effettuato in base alla quantità di beni;
- criterio qualitativo, solo per prodotti acquistati da terzi non appartenenti alla medesima classe merceologica di quelli dell’azienda agricola si terrà conto del valore di mercato dei prodotti agricoli ottenuti sul fondo rispetto al costo di quelli acquistati.
Fatta questa doverosa premessa, si ritiene che un’impresa eserciti attività commerciale nel caso in cui sia dimostrato come le attività connesse, non in collegamento funzionale con la terra, vengano svolte dalla medesima in misura prevalente rispetto all’attività principale di coltivazione del fondo, di selvicoltura o di allevamento di animali. Non rileva, al riguardo, il fatto che detta impresa si sia registrata presso il Registro delle Imprese come società agricola.
Detto in altri e più chiari termini, si è sempre in presenza di esercizio di un’attività commerciale ogniqualvolta l’impresa agricola eserciti in misura prevalente attività connesse che non siano coerenti rispetto all’attività principale.
Appurato come un’azienda agricola possa, in presenza di determinate circostanze, esercitare attività commerciale, ne consegue la possibilità di applicazione alla stessa della disciplina fallimentare.
L’impresa agricola può, quindi, essere dichiarata fallita in ipotesi di esercizio prevalente di attività commerciale pur nell’eventualità in cui, all’atto del deposito della domanda di fallimento a suo carico, avesse cessato lo svolgimento di tale attività.
In conclusione, non è sufficiente la mera iscrizione nel Registro delle Imprese con la qualifica di società agricola, dovendo essere sempre analizzata l’attività svolta in concreto dall’impresa agricola.
Solo se risultano rispettati i requisiti, soggettivo ed oggettivo, previsti dall’art. 2135 c.c., che detta la definizione di imprenditore agricolo, l’impresa agricola potrà salvarsi dal fallimento.
Stefania Avoni, avvocato
©RIPRODUZIONE RISERVATA