Il contratto di compartecipazione agraria è un contratto atipico, che prevede per un breve periodo l’apporto manuale del compartecipante alla coltivazione del terreno di titolarità del concedente, in cambio della partecipazione al riparto dei relativi prodotti.
Il compartecipante non deve tuttavia limitarsi a prestare lavoro manuale, dovendo, al contrario, conferire pure capitale ed attrezzature e partecipare alle spese di coltivazione. Qualora il compartecipante si limitasse ad apportare unicamente lavoro manuale, senza sostenere alcuna spesa per la coltivazione del fondo, il suo rapporto rispetto al concedente verrebbe infatti inquadrato in termini di lavoro subordinato.
Il compartecipante, inoltre, pur non partecipando alle perdite di gestione, che rimangono totalmente a carico del concedente, si deve assumere il rischio di non percepire la quota di prodotti a lui spettante.
Al tempo stesso, l’attività del concedente non può esaurirsi nella mera messa a disposizione del proprio terreno, dovendo egli partecipare alla coltivazione del fondo, configurandosi altrimenti il tipico contratto di affitto agrario (Legge n. 203/1982). Il concedente è tenuto, pertanto, a partecipare, ad esempio, alle attività di aratura e di irrigazione.
Il Legislatore del 1982, tra le varie forme di compartecipazione agraria, ha fatto salva unicamente quella stagionale, così definita perché caratterizzata dalla stagionalità delle colture. A sua volta, sono considerate colture stagionali quelle che non superano l’annualità.
Proprio in quanto caratterizzate da un breve ciclo vegetale, queste colture occupano lo spazio temporale intercorrente tra due colture principali, al fine di migliorare la fertilità del terreno, così che sono altrimenti dette colture di rinnovo o secondarie.
Per le ragioni sopra esposte, la compartecipazione agraria stagionale è esclusa nel caso in cui, nello stesso appezzamento di terreno, vi sia la reiterata coltivazione di una medesima coltura senza apprezzabile soluzione di continuità.
Il breve periodo con cui concedente e compartecipante si vincolano a svolgere una coltivazione stagionale, costituendo fra loro un mero rapporto obbligatorio e non una società, non può pertanto eccedere di molto il ciclo colturale della coltura stagionale. Detto in altri e più chiari termini, la durata del rapporto obbligatorio tra concedente e compartecipante non può coincidere con l’annata agraria.
Il relativo contratto di compartecipazione agraria stagionale va redatto in forma scritta, al fine di determinare correttamente la quota di prodotti spettante a concedente e compartecipante, che, salvo non sia diversamente pattuito tra i contraenti, si presume ripartita in parti uguali. Questo adempimento è tanto più importante se si considera che, in sede di dichiarazione dei redditi, occorre presentare un atto sottoscritto da tutti i partecipanti, da cui risulti la quota del reddito agrario ad ognuno attribuita.
Con riguardo alla determinazione delle quote di prodotti a ciascuno dovute, le parti, che non optino per una ripartizione paritaria, possono scegliere di riferirsi all’effettivo apporto di ciascuna di esse nella coltivazione del fondo durante il ciclo colturale.
Se il riparto avviene in natura sul luogo di produzione, il concedente ed il compartecipante sono liberi di commercializzare la propria quota di prodotti. Qualora, invece, non sia possibile provvedere al riparto in natura, una parte può incaricarsi, su mandato dell’altra, della vendita unitaria dei prodotti con successiva liquidazione all’altra parte della quota in denaro alla stessa spettante.
Nel momento in cui si sceglie di stipulare un contratto di compartecipazione agraria occorre pertanto tenere a mente quali siano i suoi tre elementi costitutivi, al fine di evitare che il negozio giuridico sia riqualificato in altra diversa fattispecie giuridica:
- l’oggetto del contratto deve essere unicamente coltura stagionale;
- la durata del contratto deve corrispondere alla durata del ciclo colturale della coltura stagionale e non all’annata agraria;
- la direzione e l’organizzazione dell’attività dev’essere gestita in comune da concedente e compartecipante, che devono partecipare alle spese e correre entrambi il rischio di non percepire la rispettiva quota di prodotti del fondo coltivato.
Stefania Avoni, avvocato
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