In base alle norme ambientali, è considerato rifiuto qualsiasi sostanza di cui il detentore si disfa oppure abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi.
Tuttavia, le imprese florovivaistiche che effettuano anche la manutenzione del verde pubblico e privato possono utilizzare il prodotto degli sfalci e delle potature, ottenuto a seguito dei loro servizi, per le pratiche agronomiche delle proprie imprese agricole.
La conclusione sembra ovvia in quanto “ambientalmente corretta”, ma, in verità, dietro a questo processo vi è un braccio di ferro che è durato anni tra l’Italia e l’Unione Europea (e che forse non è tutt’oggi concluso).
Infatti, l’art. 2, paragrafo 1, lettera f) della Direttiva 2008/98/CE precisa che sono esclusi dall’ambito di applicazione della suddetta Direttiva le “materie fecali, se non contemplate dal paragrafo 2, lettera b), paglia e altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati nell’attività agricola, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana”.
La disposizione europea non cita gli sfalci e le potature, in quanto essi sono ricompresi tra i rifiuti organici che, se provenienti da parchi e giardini pubblici, dovrebbero essere soggetti ad una corretta gestione come rifiuto. L’assenza di un controllo adeguato sarebbe quindi in contrasto con le disposizioni della Direttiva.
Pertanto, in base alla Direttiva, sfalci e potature possono essere distinti in:
- prodotti derivati da ambienti agricoli e forestali naturali. In tal caso, beneficiano dell’esclusione dalla normativa sui rifiuti se destinati alle attività agricole o per la produzione di biomasse;
- prodotti provenienti dalla manutenzione del verde pubblico e privato. In tal caso, questo materiale rientra nella nozione di rifiuto organico da destinare prioritariamente alla produzione di composti e altri materiali basati su rifiuti organici che non presentano rischi per l’ambiente.
La normativa italiana
L’Italia, per adeguarsi alle censure mosse dalla UE, ha provveduto, con l’art. 20 della Legge n. 37/2019, a modificare la propria normativa ambientale (D.Lgs. 152/2006), disponendo quanto segue:
“All'articolo 185, comma 1, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, la lettera f) è sostituita dalla seguente:
f) le materie fecali, se non contemplate dal comma 2, lettera b), del presente articolo, la paglia e altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, gli sfalci e le potature effettuati nell'ambito delle buone pratiche colturali, nonché gli sfalci e le potature derivanti dalla manutenzione del verde pubblico dei comuni, utilizzati in agricoltura, nella silvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa, anche al di fuori del luogo di produzione ovvero con cessione a terzi, mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente né mettono in pericolo la salute umana”.
Pertanto, la normativa italiana, pur non allineata a quella unionale, indica che il prodotto vegetale ottenuto dalla manutenzione del verde pubblico non rappresenta un rifiuto qualora possa essere utilizzato nelle attività agricole, nella silvicoltura o per la produzione di energia da biomassa.
La giurisprudenza
Recentemente, la Cassazione, con la Sentenza n. 9348/2020, ha trattato il caso di un imprenditore dedito all’attività di manutenzione del verde a cui veniva contestato di aver abusivamente realizzato un deposito di rifiuti derivanti dagli sfalci e potature della propria attività.
I giudici hanno ribadito che dalla formulazione dell’art. 185 si ricava che gli sfalci e le potature sono comunque dei rifiuti per i quali vale la deroga di cui alla lettera f) esclusivamente nel caso in cui siano gestiti e riutilizzati a servizio dell’agricoltura, silvicoltura o produzione di energia non inquinante.
Pertanto, quando gli stessi prodotti non siano destinati agli usi consentiti ed accumulati per mesi in aree nella disponibilità di chi ha effettuato i servizi di manutenzione, essi devono essere considerati e gestiti come rifiuti.
Qualora poi tali depositi fossero destinati all’”abbruciamento”, è applicabile la sanzione prevista nel caso di combustione di residui vegetali, effettuata senza titolo abilitativo, qualora non fossero rispettati i requisiti previsti dall’art. 182, comma 6-bis del D.Lgs. 152/2006.
In base a tale ultima disposizione è, infatti, consentita l’attività di raggruppamento e “abbruciamento” in piccoli cumuli e in quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro dei materiali vegetali derivante da sfalci e potature del verde pubblico, effettuate nel luogo di produzione e nel rispetto delle disposizioni per la sicurezza e la prevenzione degli incendi.
In conclusione, la deroga prevista dall’art. 185 opera solo nel caso in cui sfalci e potature siano gestiti e riutilizzati nell’ambito dell’agricoltura, silvicoltura o produzione di energia non inquinante; pertanto, se l’attività di manutenzione del verde è svolta da soggetti che non esercitano anche le suddette attività e non possono direttamente destinarli agli usi consentiti, costoro dovranno gestire tali prodotti come rifiuti.
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