La formulazione del nuovo articolo 20 del D.P.R. 131/1986 non si pone in contrasto né con il principio di capacità contributiva né con quelli di ragionevolezza ed eguaglianza tributaria stabiliti dalla Costituzione italiana.
A definire tale concetto è stata la Corte Costituzionale con Sentenza n. 158 del 21 luglio 2020, stabilendo che l'imposta di registro applicata solamente sulla base dell’intrinseca natura e degli effetti giuridici prodotti dall’atto presentato alla registrazione, senza considerare gli effetti economici o gli elementi extra-testuali all'atto stesso, non è da considerarsi anticostituzionale.
Ricordiamo che, con l’art. 1, comma 87, lettera a), della Legge di Bilancio 2018, è stato riformato l’articolo 20 del TUR il quale, nella nuova formulazione, proibisce, in sede di liquidazione dell’imposta dovuta a fronte della registrazione di un atto, la possibilità per il Fisco di considerare situazioni che non afferiscono all’atto medesimo.
Con la Legge di Bilancio 2019, il legislatore è intervenuto nuovamente, affermando la natura interpretativa e dunque l’effetto retroattivo della modifica legislativa.
La Corte di Cassazione, dovendosi esprimere in merito alla tassazione di un conferimento d’azienda, seguito dalla cessione del capitale sociale della società conferitaria da parte del soggetto conferente, riteneva che l’applicazione del nuovo art. 20 TUR violasse il principio di capacità contributiva, di cui all’articolo 53 della Costituzione, e il principio di eguaglianza, di cui all’articolo 3 della Costituzione e, alla luce di tali considerazioni, emanava l’Ordinanza di remissione 23549 del 23 settembre 2019.
Secondo la Cassazione, la norma si porrebbe in contraddizione con il principio di prevalenza della sostanza sulla forma, in quanto, se si vuole analizzare l’atto presentato alla registrazione con un approccio sostanzialistico, ciò “comporta la necessaria considerazione anche di elementi esterni all’atto e, in particolare, anche di elementi desumibili da atti eventualmente collegati con quello presentato alla registrazione”.
La Consulta, nell’annunciare l’infondatezza dei rilievi della Cassazione, detta alcuni rilevantissimi principi in materia di imposta di registro.
Innanzitutto, l’articolo 20 del D.P.R. 131/1986 è una norma interpretativa dell’atto presentato alla registrazione e, pertanto, non è una norma antielusiva. Infatti, nel nostro ordinamento, vi è già una disciplina antielusiva “generale” (art. 10-bis della Legge 212/2000) preposta a presidio dell’ottenimento di indebiti vantaggi fiscali.
Se, come ritenuto dalla Cassazione, l’art. 20 del D.P.R. 131/1986 fosse costituzionalmente illegittimo, per il fatto di non consentire una tassazione che tenga conto della sostanza economica contenuta nell’atto presentato alla registrazione e in tutte le sue “connessioni”, l’amministrazione finanziaria potrebbe:
- operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale, stabilita dall’articolo 10-bis della Legge 212/2000;
- svincolarsi da ogni riscontro di “indebiti” vantaggi fiscali e di operazioni “prive di sostanza economica”, precludendo al contribuente medesimo ogni legittima pianificazione fiscale.
In secondo luogo, la Corte Costituzionale afferma che l’imposta di registro è una “imposta d’atto” e deve essere applicata agli effetti prodotti dall’atto presentato alla registrazione, senza che possano interferire valutazioni estranee all’atto medesimo.
In particolare, ritenere irrilevanti sia gli elementi extratestuali che il collegamento negoziale con altri atti non favorisce l’ottenimento di indebiti vantaggi fiscali, sottraendo all’imposizione l’effettiva ricchezza imponibile.
Infine, secondo i giudici, la materia imponibile in questione è rappresentata dagli effetti “giuridici” che l’atto produce e non può rilevare alcuna valutazione di tipo “economico”, in ordine alla tassazione che deve essere applicata all’atto presentato alla registrazione.
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