La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 12303/2020, ha stabilito che l’immobile iscritto al catasto fabbricati come rurale, con l’attribuzione della relativa categoria (A/6 o D/10), in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti di ruralità, non è soggetto all’ICI.
La questione nasce da un avviso di accertamento emesso dal Comune nei confronti di un contribuente che deteneva immobili originariamente non censiti in categorie di ruralità, per i quali aveva però presentato domanda autocertificata di variazione catastale, con annotazione catastale di ruralità (A/6 per il fondo e D/10 per il fabbricato) avente effetto dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda.
I giudici di primo grado si erano espressi con esito favorevole per il Comune, riconoscendo il carattere rurale degli immobili in questione, in ragione della loro tipologia e destinazione agricola, oltre che della qualità di coltivatrice diretta della proprietaria.
Tale pronuncia era stata poi disattesa dalla CTR, che aveva rilevato che il requisito di esenzione ICI, riconducibile alla ruralità degli immobili stessi, doveva avere riguardo del dato oggettivo della categoria catastale ad essi attribuita.
Secondo i giudici della Commissione Regionale, nel caso di specie, pur trattandosi di immobili originariamente non accatastati in categoria di ruralità, era fatta salva la possibilità per il contribuente di presentare domanda autocertificata di variazione catastale, con annotazione catastale di ruralità avente effetto “dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda” e, poiché il contribuente si era in concreto avvalso di questa possibilità, l’ICI doveva ritenersi dovuta solo per l’annualità antecedente al quinquennio di retroattività legale.
La Sentenza della CTR è stata considerata del tutto corretta dai giudici della Corte di Cassazione perché in linea con l’ormai consolidato indirizzo interpretativo di legittimità in tema di ICI dei fabbricati rurali, secondo cui “per la dimostrazione della ruralità dei fabbricati, ai fini del trattamento esonerativo, è dirimente l’oggettiva classificazione catastale con attribuzione della relativa categoria (A/6 per le unità abitative, o D/10 per gli immobili strumentali); sicché l’immobile che sia stato iscritto come “rurale”, in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dall’art. 9 del D.L. 30 dicembre 1993, n. 557 (conv. in Legge 26 febbraio 1994, n. 133) non è soggetto all’imposta, […] per converso, qualora l’immobile sia iscritto in una diversa categoria catastale (di non ruralità), è onere del contribuente, che invochi l’esenzione dall’imposta, impugnare l’atto di classamento per la ritenuta ruralità del fabbricato, restandovi altrimenti quest’ultimo assoggettato”.
In particolare, l’attribuzione all’immobile di una diversa categoria catastale deve essere impugnata specificamente dal contribuente che pretenda la non soggezione all’imposta per la ritenuta ruralità del fabbricato, restando altrimenti quest’ultimo assoggettato ad ICI.
Conseguentemente, il Comune dovrà impugnare l’attribuzione della categoria catastale A/6 o D/10, al fine di potere legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’imposta.
La Cassazione ha quindi stabilito che l’esenzione dalle imposte locali non dipende dall’accertamento della strumentalità concreta con l’attività agricola e deve, necessariamente, rimanere ancorata alla classificazione catastale; la possibilità concessa al contribuente di richiedere la variazione catastale per l’attribuzione di ruralità A/6 e D/10 (con effetto dal quinquennio precedente), non consente di ritenere non applicabile l’esenzione dai tributi locali.
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