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La Cassazione, in una recente Sentenza, ha affermato che il cessionario/committente non può detrarre l’IVA erroneamente corrisposta in relazione ad un’operazione non imponibile.
Questo principio di diritto è stato espresso dai Giudici di legittimità nella Sentenza n. 24289/2020 accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate che aveva emesso, nei confronti del contribuente, due avvisi di accertamento per l’IVA relativi agli anni di imposta 2000 e 2001.
Stando a quanto disposto dalla norma, l’indebita detrazione, se riguarda la liquidazione periodica, è sanzionata nella misura del 90% dell’imposta ex art. 6, c. 6 del D.Lgs. n. 471/1997. Nel caso in cui l’irregolarità è recepita in dichiarazione, tale sanzione, per effetto del cumulo, viene assorbita dalla dichiarazione infedele, che prevede una sanzione dal 90% al 180% dell’imposta (art. 1 del D.Lgs. n. 471/1997).
Questa procedura è stata tradizionalmente applicata anche per i casi in cui il cedente/prestatore addebitava per errore l’IVA a operazioni non imponibili, esenti oppure escluse, così come nel caso di errore di aliquota.
La disciplina dell’art. 6 del D.Lgs. n. 471/1997 è stata poi modificata, grazie alle innovazioni della L. 205/2017, ed ora è espressamente previsto che: “in caso di applicazione dell’imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente o prestatore, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli artt. 19 e seguenti del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n. 633, l’anzidetto cessionario o committente è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro. La restituzione dell’imposta è esclusa qualora il versamento sia avvenuto in un contesto di frode fiscale”.
L'intento del legislatore era quello di consentire la detrazione, laddove l'imposta fosse stata versata dal cedente, e di restituire proporzionalità al sistema sanzionatorio.
In questo scenario era stato poi previsto dall’art. 6, c. 3-bis D.L. 34/2019 che le innovazioni apportate dalla L. 205/2017 avessero efficacia retroattiva ma, la Corte di Cassazione, nella sentenza in commento, ha stabilito in modo netto che la nuova modifica opera solo per il caso dell’IVA addebitata per errore e non per l’IVA “non dovuta”; sostanzialmente, la sanzione fissa è applicata solo a fronte del versamento dell'IVA errata sulla base di un'aliquota maggiore rispetto a quella effettivamente dovuta.
Infatti, si legge nella sentenza che “il D.Lgs. n. 471 del 1997, citato art. 6, comma 6, come chiaramente si evince dal tenore letterale della richiamata disposizione, trova applicazione solo in relazione alle operazioni imponibili, allorquando sia stata corrisposta l'IVA in base ad un'aliquota superiore a quella effettivamente dovuta e non anche con riferimento alle ipotesi - una delle quali ricorrente nella fattispecie - di operazioni non imponibili.
Va, dunque, enunciato il seguente principio di diritto: in tema di IVA, l'imposta erroneamente corrisposta in relazione ad un'operazione non imponibile non può essere portata in detrazione dal cessionario, nemmeno a seguito della modifica apportata dalla L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 935, al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 6. Invero, indipendentemente dalla sua efficacia retroattiva prevista dal D.L. n. 34 del 2019, art. 6, comma 3-bis, la menzionata disposizione si applica unicamente alla diversa ipotesi in cui, a seguito di un'operazione imponibile, l'IVA sia stata erroneamente corrisposta sulla base di un'aliquota maggiore rispetto a quella effettivamente dovuta”.
Nel caso esaminato, quindi, il cessionario, in presenza di fatturazione con IVA di una prestazione non imponibile, ha dovuto rendere indetraibile l'imposta erroneamente addebitata dal cedente, oltre a pagare la sanzione del 90% su tale imposta.