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Rispondendo a un’interrogazione presentata in Commissione Finanze della Camera lo scorso 18/11/2020, il Sottosegretario al MEF, Alessio Villarosa, ha affermato che, in considerazione della riduzione dei coperti, imposta nell’attuale scenario per il rispetto dei vincoli igienico sanitari per la somministrazione in loco degli alimenti, la vendita da asporto e la consegna a domicilio rappresentano modalità integrative mediante le quali i titolari dei pubblici esercizi possono svolgere la loro attività, anche se dotati di locali, strutture, personale e competenze astrattamente caratterizzanti lo svolgimento dell’attività di somministrazione abitualmente esercitata.
Di conseguenza, sia la vendita da asporto che la consegna a domicilio, possono fruire dell’aliquote IVA ridotta del 10%, prevista per la somministrazione di alimenti e bevande.
Le indicazioni del Sottosegretario al MEF non sono state tuttavia condivise dall’Agenzia delle Entrate che, con la recente Risposta a Interpello n. 581/E/2020, ha ribadito l’assimilazione delle attività di vendita da asporto e di consegna a domicilio di cibo e bevande alle cessioni di beni, con conseguente applicazione dell’aliquota IVA propria dei beni ceduti.
Il caso sottoposto al vaglio dell’Agenzia delle Entrate riguarda una catena di ristoranti che, a seguito dell’introduzione delle misure di contenimento dell'epidemia da COVID-19, utilizza un’applicazione internet che consente alla clientela di prenotare l’orario di accesso al ristorante e di effettuare l’ordinazione da remoto.
Siccome tale applicazione consente anche di aggiungere o eliminare determinati ingredienti agli ordini effettuati, la società istante ritiene che la cessione di preparazioni alimentari e bevande effettuata mediante tale applicazione possa configurare, ai fini IVA, una somministrazione di alimenti e bevande di cui all’art. 3, comma 2, n. 4), D.P.R. n. 633/1972, con conseguente applicazione dell’aliquota ridotta del 10%.
Tale posizione non è stata condivisa dall’Agenzia delle Entrate, secondo la quale l’utilizzo del servizio aggiuntivo, costituito dall’applicazione informatica, non è di per sé sufficiente a concretizzare un servizio di somministrazione.
Di conseguenza, qualora gli alimenti e le bevande acquistati dalla clientela mediante l’applicazione non siano consumati presso il ristorante, si configura un’attività di asporto, ossia una cessione di beni, con conseguente applicazione dell’aliquota IVA prevista per ciascun singolo bene.
L’Agenzia delle Entrate ha poi rammentato le indicazioni della giurisprudenza comunitaria, che attribuisce la natura di prestazione di servizi all’attività di ristorazione, a condizione che sia caratterizzata da una serie di elementi e di atti tra i quali la cessione del cibo rappresenta soltanto una parte e nel cui ambito risultano ampiamente preponderanti i servizi collegati alla fornitura dei pasti e delle bevande (tra questi servizi rientrano, ad esempio, la cottura dei cibi, la loro consegna materiale su un sostegno, la messa a disposizione della clientela di una sala di ristoro con servizi annessi, la presenza di personale addetto a servire ed assistere il cliente, ecc.).
In conclusione, l’attività di asporto di alimenti e bevande e la consegna a domicilio, attività che nell’attuale contesto possono essere effettuate anche dagli agriturismi, continuano a rientrare tra le cessioni di beni (non tra le somministrazioni di alimenti e bevande), con conseguente applicazione dell’aliquota IVA propria dei beni ceduti (ordinaria o ridotta).