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La soccida è un contratto tipizzato in quanto è disciplinato espressamente dagli artt. 2170 e ss. c.c.
Con la soccida si realizza una comunione di scopo, tipica dei contratti associativi, dal momento che il soccidante ed il soccidario si accordano per lo svolgimento di un’attività in comune, inquadrabile nell’esercizio di attività agricola ex art. 2135 c.c. e caratterizzata dall’allevamento e dallo sfruttamento di capi di bestiame, al fine della successiva ripartizione a titolo originario degli accrescimenti degli stessi e dei prodotti ed utili che ne derivano.
Al termine della soccida, il soccidante ed il soccidario provvedono a ripartirsi in natura gli accrescimenti dei capi originariamente conferiti in allevamento, salvo che il soccidario non propenda per l’attribuzione in danaro della quota di animali a lui spettanti (c.d. soccida monetizzata).
Entrambe le parti partecipano pertanto agli utili e alle eventuali perdite, sopportando il rischio dell’attività di allevamento.
Questo aspetto permette di distinguere la soccida da altri contratti, quali quello di lavoro subordinato o quello di appalto, nei quali le parti non sono poste in una situazione paritetica.
La principale problematica a cui porre adeguata attenzione consiste nella possibilità che l’Agenzia delle Entrate riqualifichi la soccida in un contratto di appalto d’opera. Al fine di evitare di incorrere in un simile rischio, è opportuno quindi analizzare quali siano i requisiti che debbono essere sempre presenti in un contratto di soccida.
La soccida deve innanzitutto evidenziare l’equa ripartizione dell’operazione dei rischi tra soccidante e soccidario sopra evidenziata. Ne consegue che non possa essere determinato ab origine un prezzo al chilo della carne, altrimenti configurandosi un diverso contratto d’opera, con cui il soccidario si impegna ad allevare gli animali a favore del soccidante, da cui riceve un corrispettivo commisurato all’ingrassamento dei capi.
Per lo stesso motivo non è possibile prevedere a favore del soccidario compensi fissi prestabiliti. Al ricorre di tale ipotesi, trova infatti applicazione la disciplina del contratto d’appalto o di prestazione di servizi, dovendo i compensi ricevuti per l’attività svolta essere conseguentemente soggetti a tassazione.
Diverso è il caso in cui si attribuiscano al soccidario dei meri acconti sugli accrescimenti salvo conguaglio finale, posto che gli stessi non inficiano la funzione economico-sociale del contratto di soccida.
Non si configura un contratto d’appalto dissimulato nemmeno quando la proprietà degli animali rimanga in capo al soccidante, senza che alle operazioni di stima degli animali sia ricollegato l’effetto traslativo, dal momento che i Giudici ermellini escludono l’equivalenza tra la nozione di conferimento di bestiame e quella di trasferimento della proprietà dei capi conferiti, realizzandosi sempre la comunione di scopo propria della soccida, per il semplice svolgimento di un’attività agricola in comune da parte del soccidante e del soccidario.
Non occorre quindi che vi sia altresì l’acquisto della comune proprietà degli animali, ben potendo le parti stabilire un diverso regime senza perciò solo alterare la natura associativa del rapporto (Cass. Civile, Sez. V, 06 novembre 2013, n. 24914).
Ciò premesso, le conseguenze circa la qualificazione di un contratto come soccida o appalto non sono di poco conto, posto che solo nel secondo caso le operazioni sono soggette ad IVA.
Detto in altri e più chiari termini, la soccida, diversamente dall’appalto, consente il passaggio dei beni senza scontare l’imposta IVA.
In ogni caso è onere dell’Amministrazione Finanziaria provare che le parti abbiano dissimulato un contratto d’appalto, con l’unico scopo di conseguire un indebito risparmio di imposta, in assenza di qualunque tipo di vantaggio economico.
Stefania Avoni, avvocato