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L’articolo 68 del Decreto 73/2021 ha modificato la disciplina dell’agriturismo disposta dalla Legge n. 96/2006 in relazione alla valutazione del rapporto di connessione con l’attività agricola.
Non è più richiesto, ai fini della valutazione dell’attività prevalente, la preponderanza del fattore tempo-lavoro destinato all'esercizio dell’attività agricola.
La legge quadro dell’attività agrituristica è la L. 96/2006. In particolare, l’articolo 2 definisce le attività che possono rientrare nell’ambito dell’agriturismo, ovvero l’attività di ricezione e ospitalità esercitate dagli imprenditori agricoli (singoli o associati, e dai loro familiari di cui all’articolo 230-bis del Codice Civile), attraverso l'utilizzazione della propria azienda in rapporto di connessione con le attività di coltivazione del fondo, di silvicoltura e di allevamento di animali.
Il comma 2, dello stesso articolo 2, L. 96/2006, precisa che possono essere addetti allo svolgimento dell’attività agrituristica l'imprenditore agricolo, i suoi familiari che partecipano all’attività agricola, i lavoratori dipendenti a tempo determinato, indeterminato e parziale. Nonostante l’attività agrituristica, di per sé, normalmente, sia un’attività di natura “non agricola”, quando esercitata in connessione ad un’attività agricola, rientra tra le attività che l’imprenditore agricolo può svolgere nel rispetto dell’art. 2135 c.c. La Legge 96/2006 precisa quindi che gli addetti sopra elencati sono considerati lavoratori agricoli ai fini della disciplina previdenziale, assicurativa e fiscale.
L’articolo 4 della L. 96/2006 rimanda alle Regioni il compito di stabilire i criteri, i limiti e gli obblighi amministrativi per lo svolgimento dell’attività agrituristica, ciò al fine di calare questa attività nei diversi contesti rurali, sociali ed economici, spesso molto diversi nel nostro Paese.
In particolare, alle Regioni (e alle Province autonome) spetta il compito di fissare i requisiti affinché l’attività agrituristica non assuma dimensioni tali da perdere i requisiti di connessione rispetto all’attività agricola.
Di fatto, in molte Regioni, tale indicazione è stata applicata già in fase autorizzativa, concedendo un numero massimo di posti letto e/o di pasti sulla base dell’attività agricola svolta, stabiliti tramite un rapporto ettaro/coltura e sul numero e sulla tipologia di animali allevati.
Tale rapporto di prevalenza tempo-lavoro, proprio per le peculiarità delle attività agricole soggette ai condizionamenti climatici metereologici nonché, per l’attività di allevamento, anche alle epidemie, non sempre può essere garantito dalle imprese agricole. Spesso, infatti, proprio per il fatto che eventi stagionali (oppure come nel caso della pandemia da COVID-19), indipendenti dalla volontà dell’imprenditore, limitano l’esercizio dell’attività agricola principale (coltivazione, allevamento e silvicoltura), inducendo inevitabilmente l’impresa a destinare il tempo, non più richiesto dall’attività agricola, alle attività agrituristiche.
Prima delle modifiche introdotte dall’articolo 68 del Decreto Sostegni-bis (D.L. 73/2021), il secondo comma del citato articolo 4 imponeva alle Regioni di dare un particolare rilievo al tempo di lavoro dedicato all’attività agricola, rispetto a quello assorbito dall’attività agrituristica.
Ora, i commi 10 e 11, dell’articolo 68, del D.L. 73/2021, intervengono su questo elemento di valutazione che di fatto viene a decadere.
Infatti, il comma 10 dispone che “fatti salvi i criteri di cui all'articolo 2135 del Codice Civile per il rispetto della prevalenza dell’attività agricola principale, gli addetti di cui all'articolo 2, comma 2 della Legge 20 febbraio 2006, n. 96, sono considerati lavoratori agricoli anche ai fini della valutazione del rapporto di connessione tra attività agricola ed attività agrituristica”.
Il successivo comma 11 precisa che “all'articolo 4, comma 2 della Legge 20 febbraio 2006, n. 96, sono soppresse le seguenti parole: «, con particolare riferimento al tempo di lavoro necessario all'esercizio delle stesse attività»”.
Il Decreto da un lato mantiene fermo il requisito dell’esercizio di una primaria attività di coltivazione, allevamento e silvicoltura ma, ai fini della connessione, elimina la valutazione del parametro tempo-lavoro dedicato all’una e all’altra attività.
Bisognerà quindi vedere come le singole Regioni applicheranno tale nuovo principio dato che, comunque, lo stesso Codice Civile stabilisce che “è imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse” e, per definizione, non esistono attività connesse se non vi è un’attività prioritaria. Quindi le Regioni potranno trovare nuovi equilibri per stabilire i criteri di connessione, ma senza discostarsi dalla norma civilistica.