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Colui che sia intenzionato a vendere il fondo rustico di sua proprietà è tenuto preliminarmente a notificare la proposta di vendita, correlata dal preliminare, a tutti gli aventi diritto di prelazione.
Quello fra i prelazionanti che non abbia ricevuto la proposta di vendita può, entro un anno dalla registrazione del contratto definitivo di compravendita, esercitare l’azione di riscatto nei confronti dell’acquirente.
Per poter validamente esercitare l’azione di riscatto occorre che il retraente sia in possesso dei requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti dall’art. 8 della Legge n. 590/1965 e dall’art. 7 della Legge n. 817/1971 per l’esercizio del diritto di prelazione. A livello soggettivo è, pertanto, necessario dimostrare la qualifica di Coltivatore Diretto o di Imprenditore Agricolo Professionale (IAP), quest’ultima valevole, in realtà, solo per la prelazione del confinante.
A seguito dell’emanazione del D.Lgs. n. 99/2004 alla figura del Coltivatore Diretto viene parificata quella della società agricola di persone, purché la metà dei soci sia Coltivatore Diretto, così come risultante dall’iscrizione nella sezione speciale del Registro delle imprese.
Quid iuris nel caso in cui i soci di una società agricola di persone, pretermessa dall’esercizio della prelazione, non risultino iscritti nell’apposita sezione speciale del Registro delle Imprese?
Sul punto è intervenuta la Cassazione che, con la Sentenza del 5 marzo del 2019, n. 6302, ha sostenuto che l’omessa iscrizione dei soci della società agricola di persone nell’apposita sezione speciale del Registro delle imprese impedisce di provare aliunde il possesso della qualifica di Coltivatore Diretto con conseguente impossibilità di esercitare validamente la prelazione ed il riscatto.
La ratio si rinviene nell’esigenza di accordare la preferenza all’acquirente ed alla libera circolazione dei beni nell’eventualità di mancata osservanza di quanto disposto dall’art. 3, comma 2, del D.Lgs. n. 99/2004, che espressamente richiedere l’obbligo di tale iscrizione per i soci di una società agricola di persone.
Del resto tale disposizione normativa sopra richiamata ha natura speciale rispetto al principio generale espresso all’art. 2193 c.c., secondo cui, in mancanza di iscrizione, è possibile provare tramite ricorso ad altri mezzi probatori i fatti per i quali è prevista l’iscrizione nel Registro delle imprese.
Questa pronuncia è di rilevante interesse in quanto con la stessa i Giudici di legittimità hanno operato un revirement rispetto al loro precedente orientamento giurisprudenziale, ritenendo provata la qualifica di Coltivatore Diretto dei soci di una società agricola di persone semplicemente dalla loro iscrizione nell’apposita sezione speciale del Registro delle imprese.
Ne conseguirebbe una diversità di trattamento tra il Coltivatore Diretto persona fisica, tenuto a provare altresì l’abituale e diretta coltivazione del fondo oltre che l’adeguata forza lavorativa del proprio nucleo familiare, rispetto a coloro che rivestono la medesima qualifica all’interno di una società di persone. Al riguardo, la stessa sentenza appresso menzionata giustifica tale discrasia sul presupposto che l’attività diretto-coltivatrice esercitata in forma societaria imponga un’immediata e certa conoscenza dell’eventuale qualifica di Coltivatore Diretto dei soci proprio a tutela del terzo acquirente.
In realtà, a nostro avviso, è bene che il socio di una società agricola di persone, al di là dell’iscrizione nella sezione speciale del Registro delle imprese, sia in grado, al pari del Coltivatore Diretto persona fisica, di provare il possesso dei requisiti richiesti dall’art. 8 della Legge n. 590/1965 e dall’art. 7 della Legge n. 817/1971, dal momento che “la reale dimostrazione dell’attività di Coltivatore Diretto non può fondarsi solo sulle attestazioni provenienti dagli uffici pubblici, dovendo, il riscattante, dimostrare l’effettivo svolgimento di quell’attività, l’esatta superficie del fondo e la capacità agricola che egli e la propria famiglia possono esercitare in concreto”.[1]
Stefania Avoni, avvocato
[1] Ex multis Cass. Civile, Sez. III, 13 ottobre 2016, n. 20638.